Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
La stratosfera (voli d'alta quota)
CHE COS' È LA STRATOSFERA
Le ardite ascensioni scientifiche di Piccard hanno reso popolare il termine «stratosfera», parola coniata invero molti anni fa da un metereologo francese, Teisserenc de Bort, e che significa quell’alta regione dello spazio situata per le nostre latitudini al disopra dei dodici chilometri di altezza, e dove c'è una temperatura che non presenta variazioni superiori ai 15 gradi. Secondo, le esperienze del Reparto d'Alta Quota Italiano, di cui diremo più avanti, tale temperatura minima, ripetutamente misurata fra i dodici e i quindicimila metri, si aggira, almeno per le nostre latitudini, fra i 55 ed i 70 gradi centigradi sotto zero. Oltre la stratosfera, cioè dai venti chilometri in su, la temperatura, tenendo fede al parere di qualche insigne geofisico, non riprende a discendere come si potrebbe logicamente dedurre, ma al contrario aumenta di mano in mano che si sale fino a raggiungere, verso i cento chilometri di altezza, l'impensato calore di alcune centinaia di gradi.
EFFETTI SULL' ORGANISMO UMANO
Nella stratosfera, oltreché una temperatura estremamente bassa, si riscontra un'atmosfera molto più tenue e rarefatta, cioè di minore densità e pressione di quella che abitualmente respiriamo. Ciò significa che, immersi, in quell'ambiente, ad ogni inspirazione noi introdurremmo nei polmoni un minor numero di molecole di ossigeno, azoto, anidride carbonica, e degli altri gas componenti l'aria. E la differenza è notevole. Al livello dei mare, ad esempio, noi immettiamo ad ogni atto respiratorio quattro volte più ossigeno che non a diecimila metri di altezza, ove la vita, naturalmente, non è più consentita. Ciò richiama alla mente la tragica ascensione in pallone effettuata da Tissandier, Sivel e Croce-Spinelli nell'aprile del 1875: raggiunta la quota di m. 8600, causa appunto l'eccessiva rarefazione atmosferica, Sivel e Croce-Spinelli vi trovarono la morte.
Tutti gli organismi, anche i più delicati, possono volare senza disturbi sensibili fin verso i quattromila metti. A cinquemila s'incomincia ad avvertire il cosiddetto «bisogno d'aria », che si manifesta con respirazioni più frequenti, talora affannose, intercise da altre respirazioni profonde. Le attività intellettive e volitive vengono pervase da un invincibile senso di abulia, e il corpo da una languida e diffusa stanchezza come avviene uscendo da un bagno caldo prolungato. I disturbi aumentano naturalmente di numero e di entità col progredire della salita e raggiungono il limite della tollerabilità, per organismi non abituati e di normale resistenza, verso i settemila metri.
Camera a depressione in cui si realizza l'ambiente delle grandi altezze.
Esperimento su un coniglio degli effetti di pressioni e temperature basse.
Oltre i settemila è impossibile volare senza far uso di ossigeno, mentre dai dodici ai quattordicimila metri è indispensabile l'impiego della « miscela Mosso », (1) composta di ossigeno e anidride carbonica opportunamente dosati. Ma non è a credere, che l'uno e l'altro espediente restituiscano all'organismo la normale efficienza. Superati i diecimila, con tutta la respirazione artificiale, il cuore pulsa sempre celere e aritmico, la pelle diventa cianotica e si copre di una fredda sudorazione, si accusano formicolii agli arti, cerchio alla testa, dolori alle giunture, dolori al nervo sciatico e ulnare, il potere volitivo e la capacità di ragionamento sono talmente attenuati che il più lieve esercizio, come alzare un braccio o tirare una leva, si traducono in una spossante fatica. I fenomeni sono dovuti all'eccezionale lavoro che grava su tutti gli organi interni e relative funzioni: polmoni, cuore, stomaco, midollo osseo, fegato, milza, capillari sanguigni, eccetera. Alcune modificazioni, come l'aumento dei globuli rossi del sangue riscontrato in individui che fanno frequenti ascensioni alle grandi altezze, tendono ad assumere carattere persistente. Oltre i quattordicimila, pur usando la « miscela Mosso », nessun organismo umano può resistere in vita. A quindicimila metri la pressione del liquido spinale è diventata quattrocento volte superiore al normale.
Esperienze di laboratorio con apparecchio di inalazione.
A diciannovemila il sangue entra in ebollizione. Però i liquidi del corpo incominciano a vaporizzare molto prima che venga raggiunto il punto di ebollizione, e vengono espulsi dal corpo principalmente attraverso i polmoni. Il fenomeno ha carattere abbastanza imponente poiché, ad esempio, rimanendo per una mezz'ora alla quota di dodicimila metri un individuo di complessione media perde in così breve tempo circa sette chilogrammi di peso. La fisiologia dell'uomo in alta quota è un interessante, nuovo, vasto campo di studi nel quale insigni scienziati italiani vanno conducendo da tempo metodiche indagini in profondità e in estensione.
MEZZI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI
Fino a quattordicimila metri, come, dicevamo, è consentito, s'intende per taluni individui fisicamente idonei e particolarmente addestrati, di salire respirando prima ossigeno e quindi «miscela Mosso». L'uno e l'altra vengono compresse in bottiglie di acciaio e somministrate alla dovuta pressione da un semplice dispositivo d'inalazione, munito di maschera che l'aviatore si applica in corrispondenza del naso.
Prova di un tipo semplice di inalatore di ossigeno per voli in alta quota.
Al disopra di tale quota è imprescindibile l'uso dello scafandro o della cabina ermetica. Il primo, a simiglianza dello scafandro da palombaro, non è che, una combinazione di gomma, sormontata da un casco metallico, a tenuta perfettamente stagna e irrigidita da una seconda combinazione di tela per impedirne il gonfiamento. Sotto lo scafandro, per combattere la polare temperatura stratosferica, il volatore indossa un abito a riscaldamento elettrico. I cristalli del casco metallico vengono del pari riscaldati per impedirne l'appannamento.
MEZZI DI PROTEZIONE COLLETTIVA
LA CABINA ERMETICA
E' evidente che lo scafandro risolve il problema del volo negli alti spazi soltanto in sede di esperimento e di studio. Le sue stesse caratteristiche gl'impediscono di generalizzarne l'impiego. La rilevante fatica fisica e nervosa cui è già sottoposto l'organismo viene aggravata dall'impaccio e dalla costrizione entro il pesante quanto delicato involucro, che rende penosa la visibilità e limitati i movimenti necessari, del resto, per controllare il funzionamento dei congegni che regolano il ricambio della miscela e sorvegliare i relativi strumenti di misura. Il problema del volo stratosferico non può essere integralmente risolto che mediante la cabina ermetica. Negli stratoplani delle future linee aeree civili tale cabina può raffigurarsi come un autoclave cilindrico, a tenuta perfetta, facente corpo con la fusoliera e munito di pesanti cristalli adatti a resistere a forti variazioni di pressione. L'aria fredda esterna verrà compressa, riscaldata, fatta circolare nell'interno e nel tempo stesso si provvederà, a mezzo di un dispositivo automatico, ad espellere l'aria respirata attraverso un'apposita camera di scarico. Ciò significa che di mano in mano che lo stratoplano si eleverà, oltreché i compressori meccanici, entreranno in funzione gli apparati per la regolazione della pressione interna, in maniera da fornire all'equipaggio ed ai passeggeri condizioni di volo sopportabili, cioè almeno uguali a quelle che si riscontrano fra i 3500-4000 metri, e ciò allo scopo di diminuire la differenza di pressione fra l'ambiente interno e quello esterno, pressioni che, altrimenti, raggiungerebbero valori enormi. Questi sommari accenni non danno che una pallida idea dei complessi quesiti tecnici imposti dalla navigazione alle grandi altezze. Basti pensare alle violente contrazioni degli organi metallici dovute a brusche ed elevate variazioni di temperatura, alle inevitabili complicazioni meccaniche (che significano peso e rischio, binomio incompatibile con ogni progresso aviatorio) , ai sistemi di sicurezza in caso
ai fughe a aria, al raffreddamento della cabina, dato che il processo di compressione dell'aria tenderebbe a riscaldarla nonostante la rigida temperatura ambiente, ecc.
Lo scafandro utilizzato dagli inglesi per i loro voli in alta quota
DIFFICOLTÀ TECNICHE
Negli apparecchi impiegati fino ad oggi dai reparti sperimentali è stato dato il massimo impulso, a scapito di ogni altra caratteristica, non esclusa la velocità, alla capacità di salire a quote stratosferiche. Anzitutto si è dovuto ovviare, ai pericolosi inconvenienti che le bassissime temperature della zona oltre i diecimila metri producono sui vari elementi dell'aeroplano, come, ad esempio, la contrazione termica delle strutture metalliche, (preoccupante è la ipertensione delle crociere alari) ; l'indurimento dei comandi, tale da non essere sufficiente per muoverli la forza muscolare del pilota; il congelamento delle sostanze lubrificanti; la cristallizzazione della gomma usata in istrati di sottile spessore; la screpolatura delle vernici a smalto ed alla nitrocellulosa; gli strappi alla tela di rivestimento dell'ala, della coda e della fusoliera; ecc.
In quanto ai motori, l'inconveniente più grave, derivante dalla quota, è la perdita di potenza dovuta alla diminuita pressione e densità dell'aria. Se un comune motore a scoppio, a quota zero, sviluppa una potenza di seicento cavalli, funzionando allo stesso numero di giri a cinquemila metri di altezza, svilupperà una potenza all'incirca della metà, dal che s'intuisce facilmente come, recuperando tutti o buona parte dei cavalli perduti in alta quota, cioè in un ambiente che oppone poca resistenza all'avanzamento, si otterranno quelle altissime velocità che il volo stratosferico essenzialmente si ripromette. Ora, mentre i comuni motori d'aeroplano, di normale impiego, mantengono costante la potenza (a mezzo di dispositivi che non è il luogo qui di descrivere) fino ad una quota che si aggira intorno ai 4000 metri, i motori montati sui nostri velivoli stratosferici ristabiliscono la potenza a 7000-7500 metri. Perciò, volendo raggiungere quote superiori ai 1 5000-16000 metri è necessario l'adozione dì motori che permettano di erogare la massima potenza a quota più elevata ancora, e precisamente verso i 10.000 metri.
Una notevole difficoltà è rappresentata dal raffreddamento. Contrariamente a quanto si pensa, la temperatura del motore che vola a grandi altezze, nonostante l'aumentata velocità e la glaciale temperatura, aumenta, perché gli effetti causati dalla minore densità atmosferica esercitano azione prevalente nei riguardi dello scambio di calore fra le superfici irradianti e l'aria circostante.
Equipaggiamento completo per voli in alta quota: combinazione riscaldata elettricamente, inalatore di ossigeno, stivali imbottiti e casco con radiotelefono.
Altri inconvenienti concernono gli strumenti di bordo: indicatori di velocità, indicatori di salita e discesa, indicatori di direzione e di assetto, bussole, manometri e via dicendo. L'alta quota influisce su di essi con le formazioni di ghiaccio sulle prese d'aria esterne; a causa del congelamento del lubrificante in corrispondenza dei perni e degli snodi e per le differenze di dilatazione dei materiali che li compongono. I giroscopi perdono automaticamente di sensibilità, le bussole magnetiche impazziscono.
Infine il problema delle eliche. Il Reparto d'Alta Quota ha condotto esperienze comparative fra eliche in duralluminio ed eliche in legno, ed ha concluso dando la preferenza alle seconde per ragioni di peso. Si tratta di eliche enormi per diametro e passo. L'apparecchio che ha conquistato nel 1937 il primato internazionale assoluto di altezza, era munito di un'elica quadripala di abete di metri 3,30 di diametro e di soli 54 kg. di peso, compreso il mozzo. L'apparecchio che aveva conquistato il primato precedente era invece munito di un'elica di duralluminio di kg. 124.
Ma il progresso in questo campo non si fermerà qui. Il mutare della densità atmosferica invita a cambiare, con dispositivo automatico o comandato, non soltanto il passo dell'elica (quesito già definitivamente risolto) , ma anche il diametro e la superficie delle pale.
Il singolare aspetto di un pilota rivestito dello scafandro per voli stratosferici.
La scia luminosa di un apparecchio italiano in volo nella stratosfera.
CENNO SULLE ESPERIENZE ITALIANE
Nei riguardi delle condizioni atmosferiche che si riscontrano nelle alte quote, vi sono ancora molti elementi sconosciuti. Il Reparto d'Alta Quota Italiano ha compiuto e compie in ogni volo osservazioni e registrazioni strumentali importantissime. Ha riscontrato, ad esempio, che nelle zone comprese fra i dodicimila e i quindicimila metri esistono, per la latitudine media italiana, oscillazioni di temperatura molto sensibili. Ciò è in antitesi con quanto si è ritenuto fino a qualche tempo fa, e cioè che la stratosfera fosse caratterizzata, anzi formata da una «temperatura costante ». Anche in questo caso, il termine avrebbe più un valore convenzionale, più che rappresentare una realtà fisica,poiché la continuità della massa d'aria che avviluppa la terra vieta logicamente di pensare ad una demarcazione netta fra bassa atmosfera (troposfera) e stratosfera. Reparto d'Alta Quota Italiano ha studiato i valori dell'umidità relativa in funzione della quota e delle stagioni, e registrato il regime, l’andamento, l'intensità dei venti, segnalando talvolta la presenza di forti correnti (al disotto della stratosfera, verso gli 8000 metri) della velocità accertata di 200 km. orari, mentre al suolo c'era calma assoluta. Ha confermato infine alcune delle speranze riposte nel volo stratosferico, cioè che al disopra dei diecimila metri non s'incontrano di massima turbolenze atmosferiche, né formazioni temporalesche tali da non essere facilmente evitate, né formazioni di ghiaccio sulle pareti frontali del velivolo.
Un fenomeno caratteristico di frequente osservato durante la salita nella stratosfera, è la formazione di una nuvola bianca sulla scia del velivolo, in cielo completamente pulito.
Pare che questo fenomeno sia dovuto a condensazione del vapor d'acqua provocata dal moto dell'apparecchio, oppure a condensazioni intorno ai nuclei del pulviscolo carbonioso emesso dallo scappamento del motore.
Il colonnello Pezzi viene aiutato a salire al posto di pilotaggio dell’apparecchio stratosferico con il quale ha battuto il primato nel maggio 1936.
Nell’interno della navicella del pallone stratosferico americano « Explorer II ».
Il pallone stratosferico «Explorer II ».
CONCLUSIONI
Con la realizzazione di una perfetta cabina ermetica, il sogno dei viaggi aerei ad altezze alle quali la rarefazione atmosferica permetterà il raggiungimento di velocità dell'ordine di ottocento - novecento chilometri orari sta per avverarsi. Presto i continenti saranno collegati da linee che trasporteranno i passeggeri oltre gli oceani navigando in piena stratosfera. « Non sarà lontano il giorno — scrive lo scienziato italiano Padre Agostino Gemelli — in cui si volerà a quote assai elevate ed a tale velocità da rendere possibile e relativamente facile passare da un continente all'altro ». Questi viaggi si svolgeranno senza pericoli per i passeggeri e per gli equipaggi, poiché avverranno in un zona d'aria priva di temporali o di altre perturbazioni atmosferiche, e inoltre, data la quota elevata, non si dovranno temere incidenti dovuti ad ostacoli topografici.
L'Aviazione Militare troverà nella stratosfera una sua formidabile alleata. Apparecchi giganti porteranno il loro micidiale carico di bombe al disopra della gittata delle batterie controaeree avversarie, e potranno colpire, occultati dall'enorme distanza che li separerà dal suolo, i centri delle nazioni nemiche.
TABELLA DELLE QUOTE RAGGIUNTE
CON AEREOPLANO E CON PALLONE
(1) Angelo Mosso: illustre fisiologo torinese, fu tra i primi a studiare la temperatura del cervello e i fenomeni psicofisiologici dovuti alla fatica esercitata in montagna. Inventò strumenti ingegnosissimi come I'« ergografo », il « ponometro », lo «sfigmografo ». Nel 1907 inaugurò sul Colle d'Olen (Monte Rosa), a 3000 m. sul mare, l'Istituto Fisiologico e Metereologico Internazionale, unico al mondo. Grande igienista, propugnò l'educazione fisica, lo sport, fra cui l'alpinismo. Scrisse «La Paura» , «La fatica», «Vita moderna degli Italiani», «L'educazione fisica della gioventù», ecc. Morì nel 1910 all'età di anni 64.