Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
IL PRIMO MEMORIALE PIETROMARCHI
DOCUMENTI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
12.5.1940
Il primo memoriale Pietromarchi
Il ministro plenipotenziario Luca Pietromarchi, capo dell'ufficio "Guerra economica" Presso il ministero degli Esteri, ha presentato al Duce la seguente relazione.
Duce, nella sua nota diplomatica del 3 marzo il Governo fascista ha prospettato nelle sue linee generali la situazione creata al nostro armamento, alle nostre industrie e ai nostri commerci dal vigente sistema di controllo sui traffici marittimi e ha messo in rilievo le limitazioni spesso arbitrarie, sempre gravissime, che esso arreca alla libertà della navigazione, alla sicurezza dei rifornimenti, al lavoro e alla produttività della Nazione,
Il carattere saliente di tale organizzazione è di non rispondere ad alcun principio consacrato dalla legge internazionale, cosicché tutti coloro che, per le esigenze della loro attività, sono costretti a passare sotto le forche caudine del controllo, non sanno mai con certezza a quale norma attenersi. Vettori, spedizionieri, importatori di merci sono costretti volta a volta a indagare quali formalità, garanzie e procedure debbano seguire per avere una certa probabilità che le merci giungeranno a destinazione. Ne consegue che la condizione essenziale per la vita dei rapporti commerciali, e cioè la sicurezza delle, contrattazioni, è stata completamente bandita dalla vita economica dell'Europa.
Quando poi una determinata procedura, per essere ripetutamente applicata, accenna a cristallizzarsi e a divenire una prassi nuove diffidenze e nuore esigenze fanno sorgere la pretesa di garanzie sempre più draconiane e di formalità sempre più vessatorie. Cosicché questa macchina del controllo, per la complicazione del suo meccanismo, per l'arbitrarietà del suo funzionamento e soprattutto per la vastità del suo campo d'applicazione si rivela non soltanto come un'arma di lotta tra belligeranti, ma come uno strumento di egemonia commerciale, destinato ad agire in settori che nulla hanno a che vedere col controllo sul contrabbando.
I reclami che ci vengono presentati dalle parti ingiustamente lese, la documentazione che sistematicamente raccogliamo sui danni e sugli arbitri del sistema di controllo forniscono elementi dettagliati e precisi per avvalorare l'esattezza di quanto affermiamo. È pertanto sui fatti, e unicamente sui fatti più eloquenti di qualsiasi dimostrazione, che io intendo richiamare l'attenzione per dare il senso preciso della gravità della situazione.
Nessuna nave nazionale, che parta o che arrivi, può sottrarsi al controllo. Nessuna partita del carico sfugge a una minuziosa sorveglianza eseguita sulle singole voci dei manifesti di carico. Nonostante la minuziosità di tale controllo, la visita potrebbe, di regola, essere effettuata in alto mare e terminata in qualche ora, grazie all'attrezzatura perfetta delle nostre Società di navigazione e alla regolarità scrupolosa della loro documentazione. Ed invece le autorità di controllo, insensibili ai danni dei ceti armatoriali, hanno elevato a norma abituale il dirottamento delle navi nei porti di controllo e il loro fermo per periodi che si sono prolungati anche dei mesi.
Mi sia consentito citare alcuni casi tipici presi dalla lista completa dei fermi e dei dirottamenti che, complessivamente, ammontano a 857 dall'inizio delle ostilità al tre maggio corrente.
1l piroscafo "XXI Aprile" della Società Garibaldi subì delle visite di controllo a Aden l'8, a Suez il 16 e a Porto Said il 17 settembre. Nonostante ciò, fu fermato a Gibilterra dal 27 settembre al 6 ottobre, e successivamente a Weymouth il 12 ottobre, ove fu trattenuto fino al 21, benché i noleggiatori avessero ottenuto dall'Ambasciata inglese l'assicurazione del pronto disbrigo delle pratiche di controllo.
Il piroscafo "Voluntas" della Società I.N.S.A., proveniente da Buenos Aires con ottocento tonnellate di cereali diretti a porti italiani, fu fermato a Gibilterra il 6 ottobre e non fu rilasciato che il 22, in totale 16 giorni di fermata.
Il piroscafo "Laura C." della Società Italia, proveniente da Galveston e Huston, fermato il 7 ottobre a Gibilterra, fu rilasciato il 5 novembre. Fermato successivamente a Marsiglia il 10 novembre, vi fu trattenuto fino al 13 dopo aver scaricato tutta la merce. In totale oltre un mese di sosta.
Il piroscafo "Agata", armatore Alfio di Napoli, fermato il 19 ottobre a Gibilterra, proveniente da Siviglia e dirottato a Genova cori un carico destinato alla Svizzera fu trattenuto circa un mese. Esso fu rilasciato il 15 novembre.
Il transatlantico "Augustus" della società Italia, è stato fermato a Gibilterra otto giorni dal 21 al 30 ottobre; caso tipico di sosta eccessiva imposta ad una nave di linea, che rappresenta da solo un danno di oltre un milione di lire per gli armatori.
Il piroscafo "Livenza" della società Italia, fu trattenuto a Gibilterra dal 25 ottobre al 15 novembre.
Il piroscafo "Le Tre Marie", dell'armatore Tripcovich, fermato il 10 novembre a Gibilterra con carico generale nominativo, vi fu trattenuto fino al 23 novembre, nonostante avesse subito un precedente controllo a Casablanca ove gli era stato perfino rilasciato un lasciapassare.
La motonave "Assiria" è rimasta ferma a Malta per controllo ben 25 giorni, dal 31 ottobre al 25 novembre.
Il piroscafo "Foscolo", dirottato a Weymouth nel viaggio da Sussak a Rotterdam, fu trattenuto per 34 giorni, dal 28 dicembre 1939 al 30 gennaio 1940, e costretto a sbarcare parte del carico, nonostante fossero state svolte in precedenza tutte le pratiche necessarie presso le autorità inglesi per assicurare un viaggio regolare.
Era da supporre che delle soste così prolungate fossero da attribuirsi all'imperfetta organizzazione del sistema di controllo nei primi tempi del suo funzionamento. Viceversa, il perpetuarsi di tale sistema fa ritenere che il fermo, tutte le volte che è stato prolungato oltre ogni limite di tolleranza, costituisca una misura di rappresaglia, per motivi dei quali non sempre si riesce ad intuire la natura.
Anche in questi ultimi giorni non sono mancati casi del genere. La nave petroliera "Lucifero", che portava un carico di oli lubrificanti per la "Romsa", è stata fermata il 31 marzo a Gibilterra e di li dirottata a Malta, ove è stata fermata fino al primo corrente. Nonostante le nostre reiterate insistenze non siamo riusciti a sapere il motivo del fermo, né quando piacerà alle autorità di controllo di rilasciare la nave.
Alcune volte le navi sono rimaste interi giorni nei porti di controllo prima che le autorità si decidessero a eseguire la visita. Tale è il caso, tra gli altri, del piroscafo "Enrico Costa", giunto ai Downs il 27 gennaio, ove attese quattro giorni prima che venisse effettuata la visita, il che dimostra incuria, o malvolere o insufficienza di personale addetto al controllo: in ogni caso, deficienza di organizzazione.
Nessuna norma regola il dirottamento. La nave di linea "Campidoglio" dell'Adriatica, diretta dal Pireo a Istanbul, il 10 febbraio u.s. è stata, all'entrata dei Dardanelli, dirottata su Malta, dovendo così retrocedere per circa 600 miglia.
Analogamente il piroscafo "Capo Orso", addetto alla linea Tirreno-MarNero-Danubio, della Compagnia genovese di navigazione a vapore, nel viaggio Pireo-Istanbul venne dirottato il 16 febbraio u.s. presso l'entrata degli stretti, su Malta: dirottamento tanto più inspiegabile in quanto la nave era partita dall'Italia con carico interamente coperto da regolari certificati di origine e non aveva effettuato al Pireo nessuna operazione di carico.
Altro caso tipico: il piroscafo di linea "Fenicia", anch'esso dell'Adriatica, nel corso di un viaggio da Istanbul a Brindisi, il 10 febbraio u.s. fu dirottato su Malta prima di effettuare lo scalo al porto greco di Calamata e venne immediatamente rilasciato. Recatosi, allora, a Calamata, fu una seconda volta dirottato su Malta, mentre si dirigeva da quel porto nell'Adriatico.
Il piroscafo "Bosforo" della Società Adriatica, in viaggio dall'Italia verso il Pireo e Istanbul, dopo avere subito un primo controllo da parte di una nave britannica presso l'isola di Zante, è stato fermato una seconda volta l' 11 aprile e costretto a retrocedere su Malta sotto scorta. Successivamente, dopo avere già compiuto parte del viaggio verso Malta, il "Bosforo" è stato fermato una terza volta ed autorizzato a riprendere la rotta per Istanbul.
Si tenga presente che ogni dirottamento cagiona all'armatore spese ingenti. Non dovrebbe, perciò, essere imposto che per motivi gravissimi, soprattutto se il dirottamento costringe la nave ad un lungo percorso.
Un mezzo pratico per evitare il dirottamento è di rilasciare una speciale garanzia, in forza della quale il comandante della nave, pur di avere la possibilità di giungere senza ostacoli all'ultimo porto di destinazione, si impegna a non consegnare le partite di merci eventualmente sospette fino a quando sia intervenuto ogni chiarimento da parte delle autorità di controllo.
Che se poi le partite sospette dovessero esser oggetto di sequestro, il comandante si impegna, in virtù della stessa garanzia, a ritrasportarle alla base di controllo che gli verrà indicata. Tale garanzia è ben nota nei ceti armatoriali con il nome di garanzia "hold back". Orbene, più di una volta il dirottamento non ha avuto altro scopo che quello di fare rilasciare dal comandante la garanzia "hold back", cioè di far adempiere una formalità. che avrebbe potuto, senza alcuna difficoltà, essere eseguita in altomare.
Particolarmente gravosi risultano i dirottamenti imposti a navi di linea, adibite cioè a un regolare servizio. Ogni ritardo, in tal caso, obbliga a spostare le partenze, a modificare gli orari con perturbazione del servizio passeggeri e di quello merci.
Talvolta a un dirottamento ne segue un secondo, talvolta un terzo. Così il piroscafo di linea "Conte Biancarnano", proveniente da Sciangai, dopo aver subito l' 11 gennaio il controllo ad Aden ed aver rilasciato la garanzia "hold back", all'uscita da Porto Said fu dirottato una seconda volta su Caifa.
Più recentemente il piroscafo "Maria", recatosi per il controllo a Gibilterra il 22 aprile, vi ha sostato fino al 25 per poi ricevere l'ordine di dirottare su Marsa Scrocco (Malta), dove è stato trattenuto fino al 5 maggio.
Il doppio dirottamento è spesso dovuto alla mancanza di coordinamento tra i servizi di controllo inglese e francese. Accade così che una nave, dopo aver passato la visita in una base di controllo ed essere stata rilasciata, venga nuovamente dirottata in una seconda base appartenente all'altro Paese.
Cito il caso del piroscafo "Maria Stella" dirottato su Dakar il 14 dicembre, mentre già si dirigeva a Gibilterra; dell’”Ariosto”, dirottato in condizioni analoghe su Casablanca,
Ancora più significativo è il caso del piroscafo "Libano", diretto a Genova, dai porti del Portogallo. Questo piroscafo fu fermato a Casablanca il 21 febbraio, dove subì una prima minuziosa visita di controllo determinata, a quanto si seppe, da false informazioni inviate da delatori prezzolati. Il 26 dello stesso mese, il comandante ricevette l'ordine dalle locali autorità marittime di scaricare tutta la merce imbarcata in Portogallo per poter procedere a una più precisa verifica.
Invano il comandante fece presente che la sua Compagnia aveva rilasciato la garanzia "hold back" all'Ambasciata britannica in Roma. Il 27 venne iniziata la .discarica; ma questa per ordine delle stesse autorità, venne fatta sospendere l'indomani. Fu necessario rimbarcare la merce sbarcata e il piroscafo ricevette l'ordine di recarsi senza scali intermedi, a Gibilterra per esservi visitato da quelle autorità di controllo.
Il 28 il "Libano" è a Gibilterra e il 1° marzo le autorità di controllo salgono a bordo. Nella stessa giornata il "Contraband Control Office" notifica al comandante che il piroscafo è detenuto. Il
giorno 3 nuovo contrordine: il "Libano" può partire ma deve sottoporsi a una terza visita di controllo a Marsiglia. Di nuovo il comandante fa sapere che è stata prestata la garanzia "hold back". Le autorità locali lo ignorano.
Nel pomeriggio del 4 la nave prosegue per la sua nuova destinazione. Il giorno 8 il "Libano" è a Marsiglia, il 13 è costretto a scaricare le merci che le autorità di controllo considerano sospette. Dopo ulteriori visite e accertamenti finalmente il 19 finiscono le peregrinazioni della nave che, per compiere il tragitto Vigo-Genova, ha dovuto impiegare 20 giorni.
Una nave che ha superato i rigori del controllo a Gibilterra non è mai sicura di non doverne subire un secondo a Casablanca o magari a Dakar.
Una singolare odissea, dovuta alle interferenze e alla duplicità dei controlli da parte delle autorità francesi e britanniche, è stata quella di una comitiva di otto cittadini tedeschi rimpatriati dal Tanganika con biglietto di passaggio, sulla nave nazionale "Rosandra", pagato dalle stesse autorità britanniche. Questi otto passeggeri, dopo aver effettuato la circumnavigazione dell'Africa, giunti il 30 dicembre a Dakar, vennero fatti sbarcare dalle autorità di controllo francesi. Imbarcati nuovamente sul "Duchessa d'Aosta", vennero sbarcati, ancora una volta, ad Orano il 24 febbraio e dovettero subire una nuova sosta colà prima di poter riprendere il viaggio verso la Patria.
Talvolta il secondo dirottamento è imposto arbitrariamente dalla stessa autorità che ha ordinato il primo, tanta è la disinvoltura di chi esegue il controllo e tanta l'indifferenza per i danni di chi ne è vittima. Spesso accade che, d'un tratto, si rimanga senza notizie di qualche nostra nave. È partita il giorno tale; era al tal punto il giorno seguente, e poi? Non se ne sa più nulla. Che cosa è successo? Apprensioni, radiotelegrammi di ricerca che si incrociano fra le Compagnie di navigazione, le loro agenzie e le navi in alto mare. Nulla.
Che cosa è accaduto? Semplicemente che gli agenti del controllo hanno dirottato la nave e vi hanno messo a bordo una scorta armata per impedire che si comunichi per radio. In tal modo il piroscafo resta per cinque, sei, sette giorni recluso dal mondo, praticamente prigioniero delle autorità di controllo.
I danni di tale arbitrario comportamento delle autorità di controllo, sia per quanto riguarda i fermi e i dirottamenti di navi, sia per i sequestri ingiustificati di merci, sia soprattutto per i ritardi che subisce tutta l'importazione-mare non "navicertata" sono valutati, in base ad elementi denunciati dall'armamento, dalle assicurazioni, dagli organi confederali e dai privati, in una cifra che ammonta a un miliardo.
Qualcuno domanderà: chi paga i danni di tale arbitrario comportamento? È evidente il nostro diritto alla loro piena rivalsa. Una documentazione precisa viene a tal fine tenuta a giorno dagli interessati, ai quali il Governo fascista non ha mancato, né mancherà di dare prove efficaci e tangibili del suo interessamento.
La questione è oggetto di attento studio. È, a tal riguardo, significativo che la giurisprudenza delle Corti delle Prede riconosca agli ufficiali del controllo poteri discrezionali così illimitati e arbitrarii da togliere loro ogni diretta responsabilità nell'esercizio delle loro funzioni. Si tratta, è ben noto, di una giurisprudenza che risale ai tempi della marina a vela, nei quali le Corti delle Prede potevano considerare come "non irragionevole' un fermo di nave per la durata di tre mesi o considerare giustificato l'atto di un ufficiale del controllo, quando non ne fosse provata la completa follia o la volontà di delinquere. Ma è evidente che con criteri ben diversi debbono oggi valutarsi i danni dei fermi e dei sequestri che immobilizzano le navi e i carichi anche per periodi di qualche giorno, tanto è veloce il ritmo degli affari e il movimento degli scambi.
L'evidente solidarietà di interessi che lega il vettore al produttore merci e all'intermediario degli scambi rende comprensibile la collaborazione che si è stabilita tra queste tre categorie per la più efficace tutela dai rigori del controllo. Si è potuto, perciò, ottenere che, analogamente a quanto fu messo in atto nella passata guerra, venisse istituito una specie di passaporto per le merci, che attestasse la legittimità della loro destinazione e assicurasse la libertà dei loro movimenti.
Tale documento è il "Navicert". Nulla passa senza tale certificato. Le merci che ne sono prive sono elencate in documenti in base ai quali le autorità di controllo compiono una lunga inchiesta prima di procedere all'eventuale rilascio delle singole partite.
È avvenuto più volte che i passeggeri allo sbarco non abbiano potuto ritirare i loro bagagli personali senza il consenso del console straniero. Né è valsa, in alcuni casi, la loro qualifica di agenti diplomatici, né le immunità del loro grado.
Un rigorismo così intransigente non ha mancato di dar luogo talvolta alle conseguenze più impensate e più assurde. In qualche caso di traslazione di salme, anche queste sono state iscritte tra le partite non "navicertate", delle quali, come tali, non è autorizzata la consegna; giacché neanche per esse, sono previste eccezioni senza il benestare delle autorità di controllo, esse non sono ammesse nella pace della sepoltura.
A parte tali inconvenienze, si era sperato inizialmente che il sistema del "Navicert" avesse per conseguenza di alleggerire i controlli, facilitare i servizi di navigazione e ridare ritmo ai traffici. Ma le prime disillusioni non tardano a verificarsi. Il sistema dei "Navicert" funziona attualmente in soli tre porti dell'America e anche in questi porti le difficoltà per entrare in possesso di così prezioso documento sono infinite.
I pretesti per il rifiuto del documento sono i più impensabili. Basta che il venditore della merce figuri su una lista nera, che naturalmente nessuno conosce, perché il documento sia rifiutato. In tal modo le possibilità di acquisti sugli stessi mercati neutrali vengono ristrette "ad libitum" delle autorità di controllo. Vi sono inoltre alcune categorie di merci (semi di ricino, gomma, lana, metalli) per le quali, senza che se ne conoscano i motivi, il "Navicert" viene sistematicamente rifiutato.
Anche quando però le merci sono coperte dal "Navicert" le difficoltà non sono finite. Benché si tratti di un documento ufficiale, rilasciato dalle stesse autorità di controllo, accade di frequente che le merci iscritte su tale certificato vengano, senza alcun comprensibile motivo, trattenute o sequestrate: il che determina un senso di profonda perplessità e di ben comprensibile disagio negli Enti interessati.
Assai più precaria e delicata è la situazione delle merci che viaggiano senza "Navicert", esposte come sono a tutte le alee che derivano dalla mancanza di norme precise e dalla illimitatezza dei poteri discrezionali attribuiti agli agenti di controllo. Si aggiunga che il segreto più ermetico è deliberatamente mantenuto sui motivi che determinano una misura di sequestro.
Molte volte, come è stato facile appurare successivamente, la decisione delle autorità di controllo è provocata da false informazioni, da errori di nomi, da intercettazioni male interpretate; talvolta da delazione di ditte rivali; quasi sempre da uno zelo intemperante di autorità irresponsabili.
Nel dicembre scorso i carichi di cotone dei piroscafi "Maddalena Odero", "Monbaldo", "Monrosa", circa 5.000 balle, furono sequestrati dalla Corte delle Prede di Gibilterra e rilasciati solo tre mesi dopo perché, in seguito a notizie risultate infondate, si suppose che i cotoni fossero merce di contrabbando.
Nessun senso di proporzione esiste tra l'entità del danno che un fermo o un sequestro cagiona a vaste categorie di interessati e l'importanza dello scopo che, con tale misura, si vuol raggiungere. Valga per tutti il caso della nave “Caldea”, dirottata da Porto Said a Caifa e cioè costretta, a un lungo percorso solo per il fatto che aveva imbarcato una, dico una, balla di cotone già fatta sbarcare da altro piroscafo.
Nei primi mesi della guerra le merci vincolate o sequestrate venivano fatte sbarcare nei porti di controllo. A Gibilterra e a Malta giacciono ancora merci sequestrate in questo primissimo periodo. Ricorderò tra le altre una partita di cotoni "linters" sbarcata a Malta nel novembre e per la quale pendono tuttora le trattative per lo svincolo.
Così a Gibilterra una partita di molibdenite destinata all'Ammi, ente parastatale e come tale insospettabile, è ivi tuttora giacente, né si riesce a venire a capo delle formalità da adempiere e tanto meno a comprendere attraverso quali cervellotiche considerazioni abbia potuto giustificarsi il fermo di tale merce.
A tutti i nostri esportatori sono, per triste esperienza, ben noti i rischi che gravano sulle merci sbarcate nei porti dì controllo.
A parte i ritardi per rientrarne in possesso, a parte il costo delle pratiche occorrenti per muovere il lento e farraginoso meccanismo delle Corti delle Prede, pende spesso su tali merci il diritto, che talune autorità di controllo si sono arbitrariamente attribuito, di procedere alla loro requisizione o, senz'altro, di venderle, sotto lo specioso pretesto della loro deperibilità. Il che costituisce spesse volte un comodo e sbrigativo sistema per decongestionare le banchine, sulle quali continuano ad ammucchiarsi le merci sequestrate, rendendo impossibile lo svolgimento delle regolari operazioni portuali.
Quando, infine, attraverso una lunga e penosa "via crucis", il destinatario delle merci sequestrate riesce a dimostrare la sua perfetta lealtà e l'assoluta veridicità degli affidamenti dati, la riconsegna delle merci è subordinata a condizioni così vessatorie da far rassomigliare strettamente la misura di controllo a un atto di pirateria.
Mi riferisco a questo riguardo ad alcune partite delle quali si sta trattando lo svincolo con le autorità di controllo di Malta. Lo svincolo è subordinato all'assunzione dei seguenti impegni da parte dell’interessato:
— rinuncia a chiedere il risarcimento dei danni sofferti;
— rimborso delle spese che la Corona britannica ha dovuto sostenere nel procedere al sequestro;
— rimborso delle spese portuali e cioè delle spese di pilotaggio, tasse, ecc., subite dalla nave per essere stata costretta ad entrare nel porto di controllo;
— rimborso delle spese di discarica e di magazzinaggio.
Ogni parola di commento è superflua. È evidente come il Governo fascista non possa tollerare disposizioni del genere. Esso non ha mancato di reagire nelle vie diplomatiche contro tali assurde pretese. Il fatto stesso di chiedere una dichiarazione dell'interessato, che tenga indenni le autorità di controllo da ogni eventuale reclamo di perdita o di danno derivante dall'avvenuto sequestro, costituisce di per sé una implicita ammissione del danno che non s'intende risarcire.
Ancora più contraria ad ogni elementare principio di equità è la pretesa di ottenere, da chi è già stato leso da un ingiustificato sequestro, anche la spesa della ingiusta misura inflittagli.
Per tutte le misure ora accennate, si è cercato da parte nostra d'incoraggiare gli armatori ad abbondare nel rilascio della garanzia cosiddetta "hold back".
Le categorie produttrici ricevono la più valida assistenza da parte delle amministrazioni e degli organi corporativi nell'espletare le numerose, complesse e difficili pratiche per lo svincolo delle merci.
Nonostante ciò, la situazione in alcuni nostri porti, e soprattutto a Trieste, è letteralmente intollerabile. Intere categorie di merci sono sistematicamente bloccate. Nei porti di Genova e Trieste sono giacenti carichi di olio di oliva per oltre 25 mila quintali. Trattamento non diverso è fatto alle importazioni di tonno e pesce sott’olio, di sughero, di metalli, di semi di ricino.
Le stesse importazioni di cereali, ancorché affidate a enti parastatali o sotto l'immediato controllo delle Amministrazioni pubbliche, come la C.I.S.C.L.A. e la Federazione italiana Consorzi agrari, le quali, si badi bene, per le disposizioni stesse del loro statuto si limitano a rifornire il mercato interno, sono soggette a ritardi, a formalità e a difficoltà di ogni genere. Alcuni loro carichi sono stati trattenuti sulle banchine o sulle chiatte per periodi di oltre un mese, come è avvenuto per i piroscafi "Remo", "Città di Bari", "Ossag", nonostante si trattasse di merce che, quando non sia convenientemente ricoverata, è facilmente deperibile.
Mi sia consentito di citare alcuni altri casi di merci giunte nei nostri porti e trattenute a disposizione delle autorità britanniche di controllo. Pochi esempi, presi a caso. Il burro. Esiste da tempo in Italia il divieto di esportazione di tale prodotto. Le autorità di controllo possono, perciò, essere sicure che tutto il burro importato è esclusivamente destinato a coprire il fabbisogno nazionale.
Tuttavia, non si sa perché, nel febbraio scorso la burocrazia del "Contraband Control Office" si è accanita stranamente contro alcune spedizioni di questo pacifico alimento diretto dall'Argentina ad alcune ditte italiane (Ottogalli, Polenghi e Lombardo, Cremerie Italiane di Cavriago).
A nulla vale il fatto che tali spedizioni siano regolarmente coperte da "Navicert" e che gli interessati abbiano prestato ai consoli britannici le consuete garanzie avallate, per giunta, dalle Confederazioni interessate. Siamo vicini a Pasqua: il burro è richiesto insistentemente dalle nostre industrie dolciarie per preparare le innocenti colombe pasquali. Invano: il burro deve restare sulle chiatte nel porto di Genova, esposto ai tepori del primo sole primaverile. Finalmente i burocrati del controllo si rendono conto dell'errore commesso e rilasciano i carichi. Ma è tardi. Pasqua è passata e i danni delle nostre industrie dolciarie e dei commercianti in tale ramo non sono rimborsati da alcuno.
Per restare nel campo degli alimentari, cito un altro caso recentissimo di una partita di carne giunta dal Sud-America con il piroscafo "Mar Bianco" per la S.A.I.B., l'ente italiano che si occupa dell'importazione della carne congelata per il fabbisogno del R. Esercito. Questo piroscafo aveva nel fondo delle sue stive 2.500 tonnellate di carne caricate a Buenos Aires e sopra di esse altre 350 caricate a Montevideo e altrettante caricate in Brasile.
All'arrivo a Genova, il controllo dichiara che quelle caricate in Argentina sono libere, mentre quelle caricate in Uruguay e in Brasile no. Perché? Misteri della burocrazia del controllo. La provenienza è sempre neutrale. Altre partite sono giunte dalle stesse provenienze senza che siano state sollevate difficoltà e la destinazione è sempre la medesima: si tratta delle "scatolette" di carne per i nostri fanti. Nulla da fare: la partita è sequestrata.
Ancora "sub judice" è il caso di una partita di legname, comperata in Romania da alcuni commercianti di Bengasi. È possibile pensare che per spedire del legname dalla Romania in Germania, mentre lo si può mandare comodamente per via fluviale o per via di terra, lo si mandi a Bengasi? Eppure i cervelli del controllo possono anche concepire una cosa simile. Tanto vero che il piroscafo è stato dirottato su Malta, dove è stato trattenuto 15 giorni.
Passiamo ad altro. Un commerciante catanese compra un quantitativo di semi oleosi in Turchia. Al controllo a Malta, senza alcun motivo, viene fatta sbarcare una parte della merce mentre la restante viene lasciata proseguire liberamente. Perché? Errore materiale o deliberato proposito d'inceppare i nostri traffici, di stringere cioè al collo dell'Italia una corda di malaugurata memoria sanzionistica? Comunque sia, nonostante che i semi oleosi siano una merce di cui è vietata in Italia l'esportazione e malgrado che l'importatore e gli organi corporativi abbiano dato l'assoluta garanzia che anche la malcapitata quota sbarcata a Malta è destinata esclusivamente al consumo nazionale, questa viene lasciata marcire per quasi cinque mesi, esposta alle intemperie sulle banchine del porto di Malta.
Finalmente un bel giorno il ministero della Guerra economica, confessando implicitamente l'equivoco preso, comunica che la quota trattenuta è stata finalmente rilasciata. Ma la tragicornmedia non è finita. Le autorità di Malta, quando sono sollecitate dall'interessato a consegnare la merce, fingono di cadere dalle nuvole: esse nulla sanno dell'ordine di rilascio.
£ in ogni modo evidente che nell'eseguire un sequestro di merci le autorità di controllo astraggono da ogni considerazione sulla natura della merce stessa e sulla possibilità o meno di adibirla a fini bellici.
Valga, come esempio tipico, il fermo effettuato nel dicembre scorso di trenta tonnellate di uva passa "sultanina" giunta dalla Turchia col piroscafo "Quirinale". Alla sorpresa manifestata dagli importatori che una merce del genere potesse in qualche modo interessare le autorità di controllo, queste non hanno esitato a dichiarare esplicitamente che i destinatari avrebbero potuto tornare in possesso dell'uva "sultanina" a patto però che ne effettuassero la vendita sul mercato britannico.
In altri termini, con o senza sequestro, non si voleva privare il pubblico britannico di questa tradizionale strenna natalizia.
Così come è stata sequestrata dell'uva passa "sultanina", in altri casi sono stati sequestrati delle nocciole, delle mandorle, dei fichi secchi, del pepe. Materiale bellico? Evidentemente no, e nemmeno alimenti di prima necessità da considerarsi base della resistenza militare di uno Stato. È chiaro che su merci di tal genere non dovrebbero essere sollevate pretese di sequestro, indipendentemente dalla loro destinazione.
Per quanto, d'altro lato, in tutti i casi in esame la destinazione italiana delle merci fosse pienamente garantita, specialmente sul pepe si è impuntato il controllo: pepe proveniente dalle Indie olandesi col piroscafo "Cortellazzo" per la nota fabbrica di conserve alimentari Arrigoni e C., col "Vulcania" per la ditta Seppilli, col piroscafo "Perla" e con l’"Himalaya" per vari altri destinatari.
E nemmeno il carattere umanitario e l'etichetta ginevrina ed internazionale hanno potuto salvare certe spedizioni dallo zelo miope e cocciuto del controllo. Voglio alludere agli invii effettuati dalla Croce Rossa di alcuni Stati americani alla Croce Rossa internazionale di Ginevra per mezzo di piroscafi italiani, "Beatrice", "Sirio", ecc. Casi tutti, naturalmente, in cui il controllo si è rilevato altrettanto pedante quanto inutile, poiché dopo una lunga e superflua sosta le spedizioni hanno dovuto essere rilasciate.
Numerosissimi ancora sono i casi che potrei citare di merci sequestrate sebbene la loro destinazione non potesse dar luogo a dubbi. Così il sequestro di 2.000 tonnellate di sabbia, per le nostre vetrerie, giunte a Napoli col piroscafo "Petrarca" dal Belgio; quello di macchine compositrici destinate a un giornale di Roma, giunte col "Conte. di Savoia" a Genova il 7 aprile; di cappelli di paglia giunti col "Fella" a Genova l’11 aprile; di sarde salate giunte col "Vulcania" e il "Saturnia" per l'Ente nazionale fascista per la Cooperazione; di acquaragia giunta col "Città di Bari"; di numerosi invii di uova lasciate marcire inutilmente, di stracci, di sughero, di cacao e di tanti altri tipici esempi che tralascio per brevità.
La stessa distribuzione del caffè per il mercato interno era stata messa in pericolo per il fatto che gli invii di caffè erano stati trattenuti in attesa che arrivassero agli organi di controllo "delle informazioni".
Tutti questi casi e infiniti altri, che sarebbe troppo lungo enumerare, non possono che lasciare perplessi sul modo con cui il controllo è organizzato e sulle direttive secondo le quali esso viene applicato nei nostri riguardi.
L'elemento più grave, lo ripetiamo ancora una volta, è l'incertezza, la mancanza di norme precise, l'arbitrio. I sospetti si acuiscono e si moltiplicano di giorno in giorno. Inizialmente faceva piena fede "l'affidavit", e cioè la garanzia rilasciata dall'importazione sulla destinazione della merce. Poi si è preteso il visto delle autorità di controllo, per convalidare la serietà della garanzia. Anche questo è apparso insufficiente. Si è aggiunta allora la garanzia di un organo corporativo. Ma anche questo non basta. Si vorrebbe ora il rilascio di analoghe garanzie da parte di tutta la catena dei commercianti al minuto che acquistano dall'importatore. Si è, cioè, considerata l'assurda possibilità di seguire la destinazione della merce sul mercato interno attraverso tutta la fila degli intermediari, quasi che fosse compatibile nello Stato fascista lasciare ad autorità straniere di dare il loro gradimento alle operazioni del commercio interno.
La manovra, v'è appena il bisogno di dirlo, è stata stroncata sul nascere dalla sorveglianza delle nostre autorità di Governo.
Ho accennato finora alle difficoltà degli importatori per rifornire il mercato nazionale. La situazione non è affatto più rosea per quanto riguarda gli esportatori.
Siamo in un settore nel quale tutte le disposizioni delle autorità di controllo sono in flagrante antitesi con quanto dispone la legge internazionale. Il divieto di commerciare con il nemico è un grande atto di imperio che un Governo è nel suo diritto di esercitare verso i propri sudditi, ma che diventa imposizione assurda, antigiuridica ed immorale quando si tenti di applicarlo oltre le frontiere del proprio Stato. Era perciò comprensibile che in questo settore le autorità di controllo avrebbero proceduto con particolare cautela. È invece soprattutto in questo campo che si accumulano le più esose misure.
Una merce non viaggia via mare se non è accompagnata da un certificato di origine delle autorità di controllo. Ma le condizioni per il rilascio di tale certificato sono le più estrose, arbitrarie e mutevoli. Il certificato è rifiutato se sorga il sospetto che nella Società esportatrice esista la cointeressenza di altra ditta appartenente a Paese belligerante. Il certificato è rifiutato se la merce è destinata a ditte che figurano su una lista nera, che, naturalmente, nessuno conosce. Il certificato è rifiutato se sorga il sospetto che nella merce da esportare sia incorporato più del 25 per cento di valore tedesco, quasi che sia un'operazione tecnicamente possibile accertare, ad esempio, come è stato preteso più volte, se nella tinteggiatura di stoffe nazionali siano state in parte adoperate materie coloranti di provenienza straniera. Il rifiuto del certificato d'origine equivale alla proibizione di esportare.
Mi affretto a chiarire che i casi sporadici di tal genere, verificatisi finora, hanno provocato l'immediata reazione del Governo fascista il quale, sia detto una volta per sempre, non è disposto ad ammettere che enti e società costituiti in Italia e che hanno, come tali, la personalità giuridica italiana, ricevano ordini e imposizioni da autorità straniere.
Ma i fatti non hanno meno per questo il significato di sintomi, tanto più gravi in quanto non è mancata in alcuni casi la spudorata pretesa di ottenere dalle ditte la presentazione dei loro più gelosi documenti contabili. Il Governo fascista ha anche questa volta stroncato immediatamente tentativi del genere, col far rigoroso divieto alle ditte di prestarsi a tali umilianti richieste e con l'esigere dalle autorità di controllo di restare nei limiti loro imposti dal rispetto della sovranità dello Stato.
Non meno arbitrariamente e con non minore disinvoltura si esercita il controllo "alleato", soprattutto britannico, sulla corrispondenza postale e sui valori trasportati dalle nostre navi, e ciò a dispetto delle norme di Diritto internazionale sancite dall'undicesima convenzione firmata all'Aja nel 1907, secondo la quale la corrispondenza, anche quella diretta al nemico, è inviolabile. Viceversa la censura anglo-francese viene sistematicamente applicata non solo ai sacchi postali a destinazione della Germania, ma anche a quelli diretti a Paesi non belligeranti. Si è cercato perfino di estendere tale controllo alla posta diretta dall'Italia in A.O.I., alle isole dell'Egeo e viceversa.
Alle rimostranze mosse dal Governo fascista, nonché da numerosi altri Governi di Paesi non belligeranti, le autorità di controllo hanno cercato di giustificare il loro atteggiamento sostenendo che il sequestro della posta da esse eseguito non era diretto ad accertare il contenuto della corrispondenza e cioè ad eseguire una vera e propria censura postale, bensì ad assicurare che i plichi e le lettere non contenessero oggetti di contrabbando.
Resta però il fatto che i sacchi postali sequestrati vengono manomessi senza che il comandante o alcun ufficiale della nave che ha trasportato la posta assistano alle operazioni di controllo. Essi non sono perciò in grado di attestare se il segreto sia o no salvaguardato, nonostante che essi, quali consegnatari della posta stessa, ne siano, almeno in linea di principio, responsabili. Che non si tratti d'altro canto di semplice controllo sul contrabbando ma di vera e propria censura postale è provato da alcuni casi pienamente accertati nei quali il segreto postale fu pubblicamente violato.
Citerò il caso del piroscafo "Tevere", fermato in alto mare il 3 ottobre 1939, a bordo del quale alcune lettere furono aperte e lette da un interprete ad un ufficiale britannico che prendeva delle note.
Nessun chiarimento e nessun ragguaglio vengono forniti dalle autorità di controllo sui plichi e sui valori da esse trattenuti.
Esse si limitano a restituire parte dei sacchi senza precisare se essi siano o no al completo; il più delle volte la restituzione ha luogo in occasione del passaggio di un successivo piroscafo, senza precisare da quale piroscafo detti sacchi siano stati sottratti.
È evidente che tale mancanza di ragguagli precisi mette nella impossibilità tanto il comando delle navi, a bordo delle quali è effettuato il prelievo, quanto l'Amministrazione delle Poste italiane, di rispondere dei plichi e dei valori ad essi affidati. A prescindere pertanto dall'inammissibilità di tale operazione è evidente il gravissimo danno che viene recato in tal modo agli innumerevoli e cospicui interessi privati che in nulla interferiscono con le ostilità in corso.
Tale sbrigativo modo di procedere da parte dell'autorità di controllo ha soprattutto come conseguenza di rendere estremamente precarie le contrattazioni commerciali a distanza. Per di più esso molte volte mette i compratori nell'impossibilità di esibire in tempo le prove che queste richiedono sulla "innocenza" della destinazione delle merci acquistate, dato che i documenti a riguardo giungono con estremo ritardo, quando non siano stati trattenuti e soppressi dalla censura postale.
Nessun segreto, né privato né commerciale, viene perciò salvaguardato. Talvolta la censura non ha neanche risparmiato dispacci ufficiali diretti ad Amministrazioni pubbliche nel Regno e neppure plichi diplomatici. Il Governo fascista non ha mancato di protestare più volte contro tale modo di procedere, sia sollevando la questione di principio, sia segnalando casi particolari.
Questi miei rapidi cenni sul funzionamento del controllo credo siano sufficienti a dare una idea approssimativa dei danni gravissimi che l'economia della Nazione subisce non solo dal fatto in sé del controllo, ma dal modo nel quale esso è esercitato. A questo punto la questione esorbita dal campo strettamente tecnico ed amministrativo per assumere aspetti e sviluppi di ben diversa importanza. A me basti segnalare la gravità della situazione.