Uomini

Da Gondar a Derna in 120 giorni

Prima di offrire l’appassionante lettura, tratta da un articolo de “L’ala d’Italia”,  delle vicende dell’I-ETIO è utile fornire alcuni chiarimenti e precisazioni. In primo luogo il velivolo di cui vengono narrate le vicissitudini non è un Caproni Ca.133, bensì un suo derivato il Ca.148. Sviluppo finale del robusto trimotore, appositamente predisposto per la società romana “Poggi & Baccherini”, è caratterizzato dall’avanzamento di un metro della cabina di pilotaggio per offrire migliore visibilità, porta di accesso arretrata oltre il bordo d’uscita alare, assenza di sfinestrature in fusoliera, carrello rinforzato per sostenere il maggior peso a vuoto. L’I-ETIO viene indicato come 133 non certo per errore ma al solo fine di indicare un velivolo ben conosciuto, e definito per la sua partecipazione alla conquista dell’Etiopia “Il monoplano dell’Impero”.

 

L’avventura africana dei velivoli è iniziata nel 1938 quando, acquistati dalla Aviotrasporti S.A. (ragione sociale assunta dalla società romana in Africa) vengono imbarcati sulla nave Ircania raggiungendo l’Africa Orientale. Il 28 ottobre 1938 iniziano ad operare sulle rotte Massaua – Addis Abeba e Assab – Addis Abeba.  L’attivazione del servizio non è assolutamente gradita all’Ala Littoria, che lamenta un’inutile duplicazione con prevedibile perdita di introiti. Ma in breve un complesso di fattori quali: alti costi, scarsa frequenza, concorrenza del trasporto su gomma portano la piccola compagnia a cessare l’attività. Nel marzo del 1940 i velivoli vengono rilevati dall’Ala Littoria e quindi, con l’entrata in guerra militarizzati, operando per il Comando Aeronautica AOI(per i numeri di costruzione , l’attribuzione delle marche civili – avvenuta due volte, la prima all’atto della omologazione da parte del RINA, la seconda col trasferimento in Africa – l’attribuzione delle matricole militari si veda lo specchietto posto tra i documenti dopo l’articolo). Come tutta l’aviazione di quel remoto settore operativo i Ca. 148 giungono a consumazione, mentre al superstite I-ETIO e al suo equipaggio spetterà vivere l’avventuroso ritorno in Italia.


Anche il viaggio necessita di qualche precisazione; alla partenza da Gondar l’I-ETIO trasporta, oltre il personale nominato nell’articolo, due piloti della 410.a squadriglia autonoma AOI. Ce ne fornisce testimonianza un pilota dello stesso reparto Antonio Giardinà, in una lettera del 23 luglio 1941 da Gondar al Capitano Corrado Ricci, rimpatriato in precedenza: “Il sottotenente Folcherio e Volpe, col sottotenente Lusardi, il tenente Caputo e altri sono partiti da qui col Ca 148 e fermati a Gedda.”  Quando si palesa la necessità per il ritorno in Italia del volo senza scalo sino a Derna i due rinunceranno per lasciare posto ai serbatoi supplementari di fortuna. Finiranno in campo di concentramento prima in Arabia Saudita e quindi in Sudan. Il velivolo, come chiaramente visibile dalle foto, per poter  atterrare in Arabia ha dovuto ripristinare i contrassegni di appartenenza all’ “Ala Littoria”, trasformando la banda bianca in fusoliera e la croce sabauda sulla deriva in altrettanti tricolori, peraltro posti anche sulle ali. Anche da rilevare come in quella tappa in una nazione neutrale l’equipaggio dovette esibire documenti che lo qualificavano come appartenente all’”Ala Littoria” (si noti in una delle foto uno dei componenti non in tenuta di volo ma in giacca e pantaloni). Anche circa gli ostacoli frapposti dalle autorità saudite si tenga conto che nell’aprile dello stesso anno una terna di Savoia Marchetti S. 73 (marche I-NOLI, I-ARCO, I-VADO)erano transitati per Gedda provenienti da Addis Abeba. Pertanto il locale console britannico cercò di adoperarsi in ogni modo al fine d’ostacolare il compimento del volo all’aereo italiano.
Il ritorno in Italia non mette fine alle vicende dell’aereo che, opportunamente modificato presso la AV.I.S. di Castellammare di Stabia diviene prototipo del Caproni Ca.148P, atto al lancio di paracadutisti e l’avio rifornimento.

 

Un’ultima osservazione: dopo tanti anni l’impresa di Lusardi,Caputo, Di Biagio, Barilli e De Caro che contro ogni pronostico, con mezzi aleatori e sostenuti solo dal Loro coraggio riescono a compiere nella determinazione di tornare in Patria merita ricordo e considerazione.

 

Caproni Ca.148 I-ETIO 

Tira tira, la morale sarà sempre quella del prover­bio: « gallina vecchia fa buon brodo », oppure quella dell'adagio contadino: « fidati dei vecchi che hanno sempre ragione ».
La storia nostra — che ebbe definizione o conclu­sione in un arrivo immortalato, almeno per qualche tempo, dal giornale Luce, e che cominciò all'Asmara tra la fine del marzo scorso e i primi d'aprile quando la città capitolò sotto la pressione nemica — sembra dimostrare appieno sia l'importanza dei proverbi, sia l'utilità di « provare» in ogni caso, tentare a qualun­que costo. È la storia di alcuni uomini e di un aeroplano solo (ma vecchio — e perciò giudizioso), un « CA. 133 »: il sottotenente Domenico Lusardi col suo equipaggio (tenente Clodomiro De Caro, secondo pilota; tenente Ni­cola Caputo, sergente maggiore motorista Renzo Barilli, e sottocapo di marina Emilio di Biagio, marconi­sta), addetto al trasporto degli « S. 79 » dall'Italia a Gondar in un suo viaggio locale dovette fermarsi all'Asmara. La città era agli sgoccioli della possibile resistenza, e dovendola sgombrare piuttosto che farla di­struggere vanamente, le forze militari l'abbandonavano. Lusardi e il suo equipaggio a bordo di un vecchio « CA 133 », fuggono dalla città martoriata e seguono la sorte delle truppe; eccoli a Gondar prima, e quindi ad Addis Abeba, a Dessiè; eccoli a Gimma.
L'aeroplano resiste ad ogni volo, ad ogni carico; è l'u­nico del suo tipo che sia rimasto nell'Africa Italiana, e si fa onore; la sua divisa è di essere sempre presente e di rispondere sempre di «sì » Dal campo di Alomatè ai piedi dell'Amba Alagi, Lusardi e i suoi uomini ri­forniscono per tre volte la colonna Maraventano che opera nella regione del monte Aboté a cento chilometri a nord della Capitale. Per due tre volte incontrano i caccia nemici; il « Caproni » è disarmato (« le nostre armi restano sempre le nubi ») e solo scampo è fug­gire in quota nei banchi di nuvole; i nemici giocano o vorrebbero giocare col vecchio ma giudizioso « CA » come il gatto col topo; però il topo è furbo, è esperto: Lusardi lo guida da un banco all'altro, da un gradino all'altro di nuvole, in fuga — sì, perché la benzina «era sempre contata » e occorreva sempre tenersi sulla direttrice giusta — ma fuggire voleva dire assicurare i rifornimenti ai soldati. E tutto andava bene.
Sempre da Alomaté viene fatto il rifornimento di Si­fani nella Dancalia, nella fossa dancala paurosamente calda asfissiante; anche questo viaggio va bene, e di­cono gli aviatori che un santo era dalla loro parte: « appena noi partiti giungevano cacciatori e bombar­dieri inglesi a mitragliare e spezzonare il campo. Per noi, perdere il « CA » voleva dire perdere per lungo tempo ogni speranza di fare il nostro mestiere di avia­tori ».
La serie di voli di rifornimenti ai presidi isolati fini­sce con una capotata nel pantano: il « CA » si mette sull'attenti, ma è stato bravo, l'unica avaria è un'elica rotta che facilmente si può sostituire.
Il tempo è passato duramente; ecco Lusardi coi suoi uomini a Gimma. Finché è possibile, vengono ripetute le azioni precedenti; ma Gimma è per cadere, siamo al 7 giugno; e sul campo sono rimasti due « C.R. 42 » e il « CA 133 » di Lusardi.
Poiché Gondar resiste e sembra voglia resistere a lungo, il comando d'Aeronautica decide di inviare gli apparecchi a Gondar, e la mattina del 7 giugno par­tono. Lusardi con gli altri .arriva; si tratta di pochi giorni di sosta attivi e intensi. Subito inizia una serie di voli di rifornimento al presidio di Uolchefit circon­dato dai nemici. Giorno per giorno la piazza di Gondar si sforniva un poco per rifornire i presidi isolati e dar modo di continuare la resistenza.

 

Caproni Ca.148 I-ETIO Il « Ca 133 » dell'epico volo

 

Il « CA » concede tutto quello che gli è possibile da­re; dal 31 marzo al 15 giugno si raddoppia, si prodiga si può dire che gli crescano le forze dopo ogni eccesso; eppure la sua autonomia è limitata ad un massimo di cinque sei ore di volo, e quando, sovraccarico e armato, nemmeno può giungere a tanto; e la sua velo­cità di crociera non supera i 170 chilometri orari viag­giando a carico normale. Ma è disarmato, è vecchio, è ritenuto quasi inutile; e quasi a premiarlo delle sue prestazioni, il governatore Nasi ricompensa l'equipag­gio dello sforzo compiuto, e fiducioso che i giovanotti avrebbero compiuto i miracoli attesi, chiesta all'eccellenza Cavallero l'autorizzazione per il viaggio di ri­torno, concede di partire, di ritornare in Italia; o al­meno di tentare ogni cosa per tornare in Italia in volo. 

 

Caproni Ca.148 I-ETIO 
I colpi dell'antiaerea inglese hanno colpito l'apparecchio che ha resistito magnificamente all'offesa

 

È l'una di notte, l'una e mezzo, del 15 giugno; siamo sul campo di Gondar. La partenza è stata mantenuta segreta, ma qualcosa è propalato come luce da uno spiraglio; arrivano alla spicciolata ufficiali e soldati, tutti hanno una lettera, un plico da consegnare perché sia consegnato o spedito all'arrivo in Italia. Ecco anche il colonnello dei bersaglieri Riccardi con una lettera del generale Nasi. Ecco i civili e i militari che con­segnano missive, che hanno biglietti con sopra numeri telefonici: bisognerà parlare con Milano, Roma, Geno­va, Pescia, Firenze, Reggio Calabria, dire che si sta bene, che si spera di andare avanti fino in fondo. Per quanto la partenza fosse stata tenuta nascosta, i piloti raccolgono dodici chili di posta. Gli addii e gli arri­vederci, gli auguri e i mille saluti; e il « CA » parte. E' una partenza difficile, l'apparecchio è stato attrezzato a superare le normali 5 - 6 ore di volo, il carico supera quello omologato di circa sei quintali (32 in­vece di 25 - 26); il campo non è illuminato, è in quota dove, cioè, difficile è il sostentamento per l'aria rare­fatta. Gli uomini più tardi, ripensando alla partenza. dichiareranno tutti di essere stati fin dal principio sicuri di sé; ma sanno però che il viaggio è fitto di difficoltà, di grandi pericoli, sanno soltanto che par­tono, non sanno dove andranno a finire anche se una mèta esiste. Partono nel buio fitto.
Necessità molteplici di viaggio impongono che que­sta gente viaggi in abiti civili, con regolari passaporti. Volano sui quattromila metri, incontrano temporali, nubi, piovaschi. Ma l'altopiano etiopico è sorvolato, su­perano il territorio nemico, l'Asmara occupata; ed ecco finalmente il mare, con la sua dolce monotonia.
Un grande balzo avanti è compiuto, il motore dei « CA » macina regolarmente i suoi giri; a bordo tutto bene, solo la radio di bordo non funziona. Il mare dall'alto è quieto e silenzioso, rasserena gli animi, pro­mette serenità.
Il vecchio « Caproni » alle 8,15 raggiunge Gedda nell’Arabia Saudita senza preavviso.
L'atterraggio si giustifica come obbligato « per forza maggiore ». Ma le autorità arabe internano l'equipag­gio per contravvenzione alle disposizioni che vietano di atterrare in quel territorio senza autorizzazione preventiva. Per centodieci giorni, in una casa presso l'ae­roporto, Lusardi e i suoi uomini, covano tutti l'ira più profonda e le meditazioni più nere. Le autorità arabe vanno molto lentamente; la - loro burocrazia supera qualunque parodia, la legazione italiana cerca di scio­gliere dal letargo le autorità locali; finalmente l'auto­rizzazione a partire e la benzina necessaria arrivano.
Lusardi prepara il nuovo viaggio e prepara insieme l'apparecchio per la tappa nuova. Il « CA » conoscerà la Siria, e farà un viaggetto fino a Beyrut; e intanto vengono effettuati lavaggi ai motori e una revisione completa. Siamo all'antivigilia della partenza, la Siria cade nelle mani inglesi. La via di partenza è preclusa. Ire, bestemmie necessarie per riprendere fiato, ma Lusardi prende in esame una rotta nuova; il «CA» andrà non più in Siria, ma nell'Iran — esattamente a Buchir. Gedda - Buchir è un gran volo, ma l'apparec­chio saprà resistere; gli uomini ne sono sicuri.
Tutto è pronto; poche ore prima della partenza an­che l'Iran è occupato dagli inglesi. La seconda via è preclusa; ma il desiderio che hanno i nostri uomini di tornare nei ranghi dei combattenti supera le difficoltà che si mostrano e si ripetono. Non resta per il vecchio « CA 133 » che tentare la rotta di Sollum: è il punto più vicino a Gedda ed è distante oltre 1800 chilometri. E non si sa più se l'apparecchio stavolta potrà dare quanto fino a questo momento ha dato; tre mesi all'a­perto, al vento alla sabbia alla salsedine marina l'han­no minato. E mancano i necessari serbatoi supplemen­tari, e non si hanno mezzi per adeguarsi alle necessità. Il volo più lungo che avrebbe potuto compiere il « CA » si valutava sui 1400 chilometri, e ora tutto studiato si trattava di andare verso Derna, oltre 2.000 chilome­tri. No, il viaggio è impossibile, non è più nemmeno il caso di parlarne.
Ma invece se ne riparla, anzi si parla solo del viag­gio; nella casa dove gli aviatori sono chiusi, internati, non si ragiona che del viaggio prossimo, se ne ragiona come se dovesse avvenire l'indomani. Le parole hanno svolto, hanno allungato i sentimenti, hanno mutato l'opinione prima sulla impossibilità di compiere il gran­de volo. A metterlo in parole, vederlo ridotto in frasi, il viaggio, il lunghissimo viaggio pare meno difficile, è sempre grandemente difficile, ma è già nel piano delle possibilità, entra nello spirito come cosa fattile, rimediabile.
Occorre aumentare l'autonomia del « Ca­proni » a quattordici ore; è difficile, ma si rimedia; arrivano finalmente gli ottenuti cinque serbatoi sup­plementari; e nello stesso tempo si provano i motori per assicurarsi dei medesimi. Tutto è pronto.
Siamo al 31 settembre, la partenza è fissata per il 4 ottobre.
Ma tutto non è pronto. In questi pochi giorni ven­gono riveduti definitivamente i tre motori; la salse­dine e la sabbia hanno prodotto nuove incrostazioni, qua è da riordinare, là da rivedere, pulire, smerigliare le valvole, lavare le tubature, i cilindri. Ma il tempo della partenza passa, e si arriva all'8 ottobre. Il « CA » finalmente è in ordine. Domani si parte!
La storia non può pigliare in considerazione questa vigilia che da un solo lato, quello sentimentale. E' in piccolo una ripetizione della vigilia sul campo di. Gon­dar. Resta fissato luogo di arrivo Derna, a 2.170 chilo­metri; e caricati altri 200 litri di benzina supplemen­tare da automobile mescolata con un poco di alcole e benzolo, il carico del « CA » si presenta come nel se­guente specchio: Benzina 4100 litri peso kg. 3.075; olio di ricino kg. 315; equipaggio kg. 375; apparato R.T. kg. 85; serbatoi supplementari olio e benzina, kg. 170; impianti tubazioni ecc. kg. 22; viveri kg. 15; Posta (Gondar e Gedda) kg. 39; bagaglio dell'equipaggio e truss kg. 11.
Con un totale di 4.107 chili Lusardi e il « CA » par­tono. L'equipaggio trattiene il respiro. Prima di met­tersi in rotta, viene costeggiata per circa 45 minuti la costa araba, e questo serve quasi di volo di prova. E' il giorno 9 ottobre, la partenza è avvenuta alle 17,10 ora di Roma, con dieci quintali oltre il massimo con­sentito. La partenza ha avuto necessità di manovra, le ruote non volevano staccarsi; ma finalmente il « CA » si è trovata in aria, sospeso. Gli uomini hanno rivissuto le ore e l'ansie dei primi aeronauti, i palpiti e gli espe­rimenti di trent'anni e quarant'anni fa, al tempo del pionerismo, quando un aeroplano impiegava venti mi­nuti, un'ora anche per sollevarsi un metro, ricadere, saltare, volare per dieci metri. Ma l'apparecchio non prende quota, il peso è tale che per circa un'ora si mantiene a cento metri d'altez­za. Alle 18 Lusardi si mette in rotta per Derna e già il Mar Rosso sembra assorbire il lento rumore dell'av­ventura. È buio presto, la rotta viene seguita sugli strumenti di bordo; bisogna assolutamente seguire la rotta come è stata studiata, senza più alcuna modifica. Il marconista avverte che la radio non funziona. Il « CA » e i suoi uomini sono del tutto isolati, in terri­torio nemico. L'apparecchio ora si è alzato, vola final­mente in quota dopo essersi alleggerito della benzina consumata. A mezzanotte viene superato e sorvolato il Nilo, fatti segno a debole fuoco contraereo.
È un viaggio che pretende di superare le fascette dei libri gialli: « non vi farà dormire ». E a bordo non si dorme; il tempo scorre grigio ma scorre; è lento ma passa; alle 3,30 viene sorvolata l'oasi di Scegga; e, volando quindi sulle nubi a quota 3,500, alle 4,45 l'aereo è fatto segno a violento disordinato fuoco contraereo. Lusardi pensa di essere sulla verticale di Tobruch, e in base a tale supposizione si allontana verso nord, per ripiegare poco più tardi a ovest e riprendere la costa. Il tempo passa, il cielo muta colore; alle 5,30 il motorista avverte che resta solo mezz'ora di carbu­rante. Lusardi da questo momento diventa padrone del­la situazione, e decide di superarla. Scende al disotto delle nubi, e riconosce a 800 metri il porto di Tobruch; dalle banchine aprono contro il « CA » fuoco violentissimo; e Lusardi per evitarlo si abbassa oltre le col­line della piazzaforte. Eccolo a 150 metri da terra, al riparo dal fuoco delle banchine, ma non basta, altre batterie si incendiano contro di lui, contro il vecchio « Caproni », e l'apparecchio è colpito in più parti, e anche il motore centrale è colpito. Lusardi simula un atterraggio, il fuoco cessa. A quota inferiore ai trenta metri riaccende i motori, il centrale non risponde; ma occorre superare anche questa sorpresa amara, e il « Caproni » si allontana a due motori verso il sud men­tre si riprende il fuoco delle batterie.

 

Caproni Ca.148 I-ETIO

L'equipaggio del « Ca 133 » appena giunto all'aeroporto del Littorio

 

Il motorista si è intanto accorto che la benzina man­ca, e con intuizione rapida, coadiuvato dall'equipaggio, smonta i serbatoi supplementari e travasa i residui di carburante per eliminare il peso dei vuoti che lancia fuori del « CA ».
Altro quarto d'ora di volo senza fuoco antiaereo; quindi Lusardi punta verso il nord per avvicinarsi alla costa. Siamo agli sgoccioli, non c'è più benzina; a cin­quanta metri le ultime pulsazioni dei due motori, e poi il lento volo planato.
La storia o piuttosto la cronaca non tiene conto dei saluti, degli abbracci dei diversi « ci siamo » esclamati dagli aviatori giunti a terra. Il « CA » aveva compiuto tutto quello che era possibile.
Erano a 30 chilometri a sud di En Gazala, alle 6,25 del mattino. Ora occorreva che qualcuno si recasse a cercare aiuti. Il motorista e il marconista partono, han­no per guida due indigeni che non si sono meravigliati di vedere arrivare gente dal cielo. Il giorno passa nell’attesa, nel caldo.
Il mattino seguente un trasporto arriva con a bordo tutto quello che è necessario, olio e benzina, un ufficiale e un sottufficiale montatore; e le avarie del fuoco contraereo vengono riparate sul posto. Il 12, Lusardi e i suoi ripartono per Derna, .a bordo del loro trimotore. Ma ormai la storia è alla fine, e sembra ripetersi di tappa in tappa: saluti, evviva, domande, mille do­mande insieme e poche risposte per volta. Un telegram­ma del Sottosegretario per l'Aeronautica (« 5a Aerosquadra per il Tenente Lusardi ») 177 Prego esprimere Tenente Lusardi e suo equipaggio mio vivo compiaci­mento per brillante volo compiuto. Saluto l'arrivo del  « Caproni ».
Da Derna dopo qualche giorno di sosta e riposo e ripreso il volo per Brindisi. il 19 ottobre alle 5 del mattino, e alle ore 10,45. L'equipaggio è a Brindisi; ma non si tratta di una tappa, ora bensì di una breve sosta. Alle 17,40 Lusardi e i suoi uomini sono al cam­po del Littorio, atterrano.

LORENZO BONACCORI

 

 

MOTIVAZIONE DI CONCESSIONE DELLA MEDAGLIA D’ORO AL  VALOR AERONAUTICO

Domenico LUSARDI

nato a Ponte dell’Olio (Piacenza) l’11 maggio 1911
Sottotenente pilota
R.D. 23.3.1942, B.U. 1942, disp. 18, pag.838

 

Pilota e navigatore di grande perizia in un momento particolarmente critico, affrontava con apparecchio non adatto per lunghi percorsi le insidie di una difficile e lunghissima rotta per raggiungere dalle più lontane subita, le ardue difficoltà incontrate, attrezzava il velivolo caricandolo oltre i limiti di sicurezza pur di raggiungere ad ogni costo la meta. Il suo generoso slancio dopo epico volo veniva coronato dal successo. Dava così prova di grande capacità professionale, di ferrea volontà, di sereno e cosciente ardimento, di profondo e purissimo sentimento patrio.

 

Cielo dell’A.O.I. del mar Rosso e del Mediterraneo, 7 giugno – 19 ottobre 1941.

 

 

MATRICOLE CIVILI E MILITARI DEI SEI CAPRONI CA.148

N. costruzione

I marca civile

II  marca civile

MM.

Note

4145

I - POGG

I - GOGG

60477

Preda bellica inglese a Kassala, febbraio 1941

4146

I - TERE

I - TESS

60478

 

4147

I - LUIG

I - LANG

60479

Distrutto a Gallabat il 10 novembre 1940

4148

I - EDVI

I - ETIO

60480

Rientra in Italia, assume MM. 4148

4149

I - ROSA

I - SOMA

60481

Distrutto ad Addis Abeba il 16 ottobre 1940

4151

I – NERI

I – NEGH

60482

 

 

 

CREDITI
Lorenzo Bonaccorsi  Storia di un “CA 133“ da Gondar a Roma in 120 giorni L’Ala d’Italia anno XXII n. 24, 16-31 dicembre 1941
E. Brotzu, G. Cosolo Dimensione cielo aerei italiani nella II guerra mondiale vol. VII trasporto Edizioni Bizzarri, Roma 1975
Corrado Ricci Vita di pilota Mursia, Milano 1976
A. Trotta (a cura) Testo delle motivazioni di concessioni delle Medaglie d’oro al valor aeronautico Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico, Roma 1978
Gregory Alegi Caproni Ca 133 La Bancarella Aeronautica, Torino 2005 

http://www.squadratlantica.it/