Volare è passione e vocazione, che riempie di sè una vita.
Adolf Galland
I.Aé.30 “Namcu”
Negli anni immediatamente successivi alla II guerra mondiale numerosi progettisti, tecnici e piloti aeronautici tedeschi migrarono verso il Sud America. Meno conosciuta la presenza in Argentina dell’ingegner Cesare Pallavicino, valente progettista della Caproni Aeronautica Bergamasca e di maestranze italiane.
Rosario “Roberto” Abate, autore di una stupenda monografia sulla C.A.B., ripercorre nell’articolo le vicende argentine di Pallavicino e della sua ultima stupenda realizzazione. (g)
IL BIMOTORE I.Aé.30 “NAMCU”
di Rosario Abate
Verso la fine del 1946 l'ingegner Cesare Pallavicino, che sin dall'estate precedente si trovava in Argentina unitamente ad un folto gruppo di tecnici e di maestranze italiane in gran parte provenienti dalle officine Caproni, assunse la direzione tecnica della Fabbrica di Aeroplani dei Governo argentino a Córdoba, nota a quel tempo come « Instituto Aérotecnico », mentre nel contempo il Brigadiere Juan E. San Martin della « Fuerza Aérea Argentina », incaricato della produzione aeronautica nazionale, si preparava ad elaborare un vasto programma di produzione al quale si prevedeva che prestasse la sua collaborazione il summenzionato gruppo di tecnici e di operai italiani.
Fu così che nel novembre di quell'anno all'ingegner Pallavicino venne affidato l'incarico di progettare un bimotore da caccia per scorta ai bombardieri, obiettivo incluso nel Piano Quinquennale e ritenuto, perciò, di grande importanza. Nel successivo mese di dicembre 1946 l'ingegner Pallavicino presentò tre avanprogetti, due con propulsione a reazione e uno con motori alternativi ed éliche. Le competenti autorità militari argentine optarono per la realizzazione di quest'ultimo, riconoscendo che le caratteristiche offerte dal progetto soddisfacevano tutti i requisiti posti.
Si procedette immediatamente alla formazione di una Divisione Progetti Speciali, la N. 2, al comando di un ufficiale, col poco personale che si poté riunire e con un ingegnere italiano giunto da poco dalla Spagna. Tuttavia, nei sei mesi successivi ben poco si poté fare, in particolar modo a causa della mancanza di disegnatori specializzati, e agli insistenti solleciti di Pallavicino per un più adeguato potenziamento dell'organico esistente si rispose che nulla poteva farsi dal momento che l'« Instituto » non disponeva del personale necessario. La sopracitata Divisione si componeva a quell'epoca di 4 ingegneri e di una dozzina di disegnatori, questi ultimi nella maggior parte inadatti al loro compito. Pallavicino risolse allora il problema facendo assumere dall'« Instituto » quattro tecnici italiani di gran classe che, avendo seguito per lunghi anni nella sua attività dì progettista ed essendo abituati ai suoi metodi di lavoro, potevano considerarsi equivalenti a 15-20 disegnatori progettisti di classe normale, facendo prendere in forza una dozzina di giovani usciti da poco dalla « Escuela Industrial » di Rosario, e selezionando gli elementi migliori tra il personale pre-esistente nella Divisione. Con un personale così scarso — in tutto non più di una ventina di persone — e così eterogeneo, nel luglio 1947 Pallavicino si mise all'opera, dando il via ad un programma contemporaneamente addestrativo ed esecutivo.
L'apparecchio venne realizzato esattamente entro un anno, ossia in un tempo pari alla metà di quello normalmente richiesto, e in mezzo a mille difficoltà. Recante la designazione d'officina I.Aé.30 e battezzato « Iamcu » (pronunciato: « gnancù »), che in uno dei dialetti parlati dagli indios della Patagonia significa « aquilotto », il velivolo era un monoplano ad ala media a sbalzo di costruzione interamente metallica dotato di due motori Rolls Royce « Merlin » delle ultimissime serie di produzione, ciascuno sviluppante una potenza massima di oltre 1.800 CV, e alquanto simile nelle sue linee esteriori e nelle caratteristiche di volo al contemporaneo bimotore da caccia britannico De Havilland « Hornet », a quell'epoca il più veloce apparecchio al mondo della categoria, ma costruito prevalentemente in legno, ed al quale era pure paragonabile dai punti di vista dimensionale e ponderale.
Interessante particolare della fusoliera durante la costruzione
Come già detto, la realizzazione dell'apparecchio venne effettuata attraverso immense difficoltà e affrontando problemi enormi. Per esempio, per risparmiar tempo, si ordinò al progettista di rinviare le prove statiche fino a dopo l'esecuzione del primo volo: conseguentemente, si dovettero adattare le strutture già parzialmente costruite per dette prove statiche come elementi del prototipo. Tuttavia, nemmeno in seguito si trovò mai il tempo di effettuare tali prove statiche e le corrispondenti strutture rimasero per molti mesi in attesa di eseguirle. Tale procedura, ancorché lusinghiera per il progettista in quanto rifletteva la fiducia riposta nei suoi calcoli, appariva d'altronde assai rischiosa e ne fu dimostrazione il fatto che in uno dei primi voli poco mancò che si incorresse in un disastro a causa di un foro praticato per trascuratezza di un operaio in un luogo non richiesto, che era sfuggito al servizio di vigilanza e di controllo e che le prove statiche avrebbero invece permesso di scoprire tempestivamente.
Per di più, l'apparecchio fu fatto volare senza che il progettista conoscesse prèventivamente i risultati delle prove aerodinamiche al tunnel, malgrado che il relativo modello fosse stato consegnato ai responsabili di dette prove con sei mesi di anticipo. Dal momento che tutti i calcoli statici e di equilibrio si basano su dette prove, il progettista dovette rimediare con le proprie conoscenze tecnologiche e la propria esperienza personale.
Sempre a seguito di ordini superiori, al progettista fu imposto negli ultimi mesi di condurre i lavori con tre squadre di operai: procedura, questa, accettabile per velivoli di serie, ma non per un prototipo in quanto costringeva i responsabili dei lavori ad una estenuante onnipresenza in officina per controllare e risolvere problemi dì ogni genere. Il miglior collaboratore di Pallavicino, Pietro Montano, svenne in officina per non aver potuto abbandonare il proprio posto di lavoro per quattro giorni e quattro notti consecutive, e a Pallavicino la forte tensione nervosa procurò un trèmito permanente al braccio sinistro che non doveva più abbandonarlo per il resto della sua esistenza.
Malgrado queste incredibili difficoltà, causate dall’'eccessiva fretta con cui si voleva allestito l'apparecchio, e molte altre su cui sorvoliamo, la macchina fu terminata in maniera abbastanza soddisfacente, pochissime essendo le imperfezioni costruttive in seguito riscontrate: la più grave fu un errore di un grado e mezzo nell'incidenza della estremità alare destra, conseguenza dei lavori condotti con tre squadre alle chiodature del rivestimento e che provocò la tendenza da parte dell'apparecchio a pendere a destra.
Complessivamente, nella progettazione della macchina si impiegarono circa 70 mila ore lavorative per i disegni (circa un terzo del normale) e circa 370 mila ore di lavoro manuale per la sua costruzione (circa la metà di quanto solitamente richiesto a quell'epoca da macchine di quella classe).
L'8 giugno 1948, a dieci mesi di distanza dall'inizio del progetto e dei lavori di costruzione, il
« Namcu » iniziò le prove di rullaggio a terra. Verso la metà del successivo mese di luglio si obbligò il progettista a far volare la macchina, malgrado che questa non risultasse ancora del tutto completata; per esempio, mancava ancora il meccanismo di retrazione del carrello.
Ad ogni modo, alle 12.50 del 18 luglio 1948 il collaudatore capo dell'« Instituto Aérotecnicò », I Tenente Guillermo Edmundo Osvaldo Weiss, dopo un decollo compiuto in circa 200-250 metri, portava in volo a Córdoba il « Namcu » per la prima volta. Nel corso del volo, che durò 20 minuti, furono effettuate una salita in quota al 50% della potenza dei motori e una serie di manovre, come virate, planate a velocità ridotta e una prova di stallo, quest'ultima eseguita al limite segnalato di 155 km/h. Al termine di questo primo volo di assaggio il velivolo prese terra sulla pista della « Escuela de Paracaidistas » di Córdoba.
L'esordio del « Namcu » trovò adeguata eco nella stampa argentina, e nel mese di luglio vari giornali, come « Los Principios », « La Prensa » e « Democracia », pubblicarono numerose cronache ed entusiastici « reportages », purtroppo non esenti da un certo sciovinismo di pretta marca sud-americana, e nei quali si ignorava volutamente il preponderante contributo dei tecnici italiani alla realizzazione dell'interessantissima macchina. Comunque, il « Namcu » volò soddisfacentemente e dimostrò in seguito di possedere qualità molto brillanti, anche se rivelò pure alcuni lievi inconvenienti, del resto sempre presenti su ogni macchina nuova e in ogni caso di entità di gran lunga inferiore a quelli che ci si sarebbe potuto attendere tenendo conto delle condizioni di estrema urgenza con cui le autorità argentine ne avevano preteso la realizzazione.
Nelle due settimane successive all'esecuzione del primo volo si poterono sistemare il meccanismo di retrazione del carrello ed eliminare alcuni inconvenienti di minore entità. Tuttavia, l'apparecchio aveva appena avuto il tempo di eseguire soltanto 4 o 5 brevi voli, assolutamente insufficienti ad assicurarne una completa messa a punto, allorché ai primi di agosto giunse l'ordine di trasferirlo alla capitale.
L'8 agosto il « Namcu », sempre pilotato da Weiss, decollò da Córdoba alle 13.20 in rotta per Buenos Aires, distante 648 km. Navigando alla quota di 5.600 metri e utilizzando il 60% della potenza massima disponibile, il pilota ricoprì tale percorso in soli 55 minuti alla fenomenale media di 650 km/h, con punte massime di 780 km/h dovute ad un forte vento in coda. All'atterraggio all'aeroporto di Buenos Aires, avvenuto alle 14.15, il pilota venne complimentato dal Brigadiere Céser R. Ojeda, Segretario provvisorio dell'Aerònautica e dal Direttore dell' « Instituto Aérotecnico », Brigadiere Juan E. San Martin.
Il giorno seguente, 9 agosto, sullo stesso aeroporto di Buenos Aires, ebbe luogo verso le 13 la presentazione ufficiale al Presidente Peròn del « Namcu », che in quella circostanza era accompagnato dal prototipo del « Pulqui I » e da un Vickers « Viking » immatricolato T64. Durante la presentazione, l'apparecchio effettuò un velocissimo passaggio a meno di 3 metri di altezza e al termine di essa il Presidente argentino si congratulò vivamente con l'ing. Pallavicino, al quale conferì una decorazione in segno di riconoscimento del valido contributo apportato alla tecnica aeronautica nazionale.
Fatto rientrare l'apparecchio a Córdoba, le competenti autorità argentine ordinarono alla direzione tecnica di prepararlo per un « raid » immediato in Europa. Programmato per la fine di agosto, il raid, che si proponeva di dimostrare il grado di progresso raggiunto nel settore dall'industria argentina, si sarebbe dovuto sviluppare entro la metà del mese di settembre lungo il percorso Buenos Aires - Rio de Janeiro - Natal - Dakar - Isole Canarie - Madrid - Londra - Parigi - Roma. Per la traversata atlantica il velivolo doveva essere dotato di serbatoi supplementari coi quali si sarebbe estesa la sua autonomia ad oltre 5.000 km. Inoltre, l'arrivo in Gran Bretagna doveva coincidere con la manifestazione aeronautica del Royal Aircraft Establishment a Farnborough tra il 7 e il 12 settembre. Durante il « raid », di circa 22.000 km., il « Namcu », che doveva essere pilotato dal Weiss, sarebbe stato accompagnato da due « Lancastrian » (il T65 e il T66) dell'Aviazione Argentina, mentre nella visita alle principali capitali europee sarebbe stato assistito dal Com. César Paradello Malcon, vicedirettore dell'« Instituto Aérotecnico » e dall'ing. Pallavicino.
Quantunque di indubbio interesse, tale programma non era però attuabile con la tempestività sollecitata dalle autorità interessate, data la non ancora completa messa a punto della macchina. L'ing. Pallavicino espresse sin dal primo momento la sua opposizione, verbale e per iscritto, a tale impresa specificando che né la macchina, né il pilota erano pronti. Inizialmente, queste giustificatissime obiezioni non sortirono alcun effetto; tuttavia, in settembre il « raid » fu sospeso per ragioni dichiaratamente
« economiche ». Subito dopo, Pallavicino venne rimosso dalla direzione della Divisione, incarico che gli era stato affidato per risoluzione ministeriale un anno e mezzo prima e che per la prima volta era stato accordato ad uno straniero. Il suo incarico rimase strettamente limitato alla sovrintendenza tecnica di un gruppo di circa 20 disegnatori e l'officina, coi suoi macchinari ed operai, passò alle dipendenze del « Servicio Técnico » cominciando a lavorare sul « Pulqui II ». A Pallavicino furono assegnati i compiti di dirigere la messa a punto del prototipo e di sovrintendere alla preparazione della fabbricazione in serie dei 210 « Namcu » che erano stati nel frattempo ordinati.
Gli unici inconvenienti che l'apparecchio manifestò furono la pesantezza dei tre comandi alle maggiori velocità ed una certa carenza di equilibrio degli alettoni. La pesantezza dell'equilibratore e del timone di direzione sparì con pochi regolaggi, senza dover nemmeno ricorrere alla fabbricazione di un nuovo gioco dei timoni. Tuttavia, i lavori in questo settore risultarono molto gravosi a causa della nuova organizzazione e della poca attività di volo, tanto che solo al principio di aprile del 1949 i detti comandi risultarono abbastanza soddisfacenti. Durante questo periodo di sei mesi, l'apparecchio rimase in attesa di volare per lunghe settimane, e l'unico evento di un certo interesse verificatosi in questo periodo fu costituito da un volo in Bolivia, compiuto tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1948 per l'esposizione del velivolo alla Mostra Industriale di La Paz organizzata nella ricorrenza del 40 centenario della fondazione della città. In quell'occasione il « Namcu », pilotato daWeiss, venne dimostrato in volo alle ore 11 del 4 novembre sull'aerodromo di EI Alto (La Paz) e in una prova di picchiata superò la velocità di 900 km/h; al termine della presentazione, il pilota ricevette i complimenti delle autorità boliviane e dell'ambasciatore argentino.
Per quanto riguardava gli alettoni, essendosi ritenuto impossibile correggere le imperfezioni di fabbricazione, si decise di costruire un nuovo meccanismo e si approfittò dell'occasione per introdurre un nuovo dispositivo da poco sviluppato in Gran Bretagna, quello della « spring tab », allo scopo di alleggerire gli sforzi di pilotaggio e, nello stesso tempo, di correggere la tendenza precedentemente citata a cadere di fianco per mezzo del gioco di molle. Tuttavia, dato che si trattava di provare un dispositivo nuovo, Pallavicino stimò prudente dì eseguire un esperimento preliminare col timore di profondità — esperimento che riuscì pienamente — e di effettuare il primo volo con gli alettoni nuovi col detto dispositivo disinserito.
La fabbricazione di queste parti fu lunghissima, tanto che l'apparecchio volò per la prima volta con gli alettoni nuovi 14 mesi dopo la constatazione dell'inconveniente. Purtroppo, i piloti non furono informati del fatto che la « spring tab » non era operante, né il progettista venne a conoscenza dei voli prima dei successivi quindici giorni, allorché ricevette il rapporto di volo, ovviamente negativo e per di più redatto in termini quasi aggravanti. Pallavicino reagì immediatamente con due note scritte, e consegnate personalmente al Direttore dell'« Instituto ». Nella prima, indirizzata ai piloti, si precisava che se la macchina presentava un apparente peggioramento di comportamento, ciò era dovuto ad una fase transitoria derivante dalla adozione di comprensibili misure di prudenza; nella seconda, si metteva in evidenza la necessità di una stretta ed amichevole collaborazione tra piloti e progettista, in mancanza della quale sarebbe stato impossibile mettere a punto la macchina. Ciò nonostante, passarono altri tre mesi senza che accadesse nulla e durante tutto questo tempo l'apparecchio non eseguì altri voli.
Alla fine di aprile del 1949 il Direttore dell'« Instituto » informò Pallavicino che, per ragioni di carattere economico, la produzione in serie del « Namcu » veniva annullata e che tutti gli sforzi dovevano essere concentrati sul « Pulqui II ». Conseguentemente, tutto il personale rimasto fu messo a disposizione del « Servicio Técnico » e a Pallavicino, lasciato inizialmente con due soli disegnatori e in un secondo tempo con uno soltanto, non rimase altro compito che quello della massa a punto del prototipo, quantunque senza alcun'altra speranza di successo. La sorte del
« Namcu » fu determinata in misura preponderante dalla scarsa collaborazione di gran parte dei dirigenti e dei tecnici argentini a causa di rivalità e gelosie nei confronti degli emigrati italiani e dalla fretta e dalle pretese eccessive poste dalle autorità governative nella sua realizzazione e successiva utilizzazione, e in questo contesto a nulla valse la forza delle cifre riflettenti i valori di carico, velocità, consumo, rendimento aerodinamico e strutturale, ecc. Nell'ambito piuttosto instabile e controverso delle impressioni dei piloti sulle qualità di volo, le uniche prove serie furono quelle condotte dal professor Matties — ossia il celebre Ing. Dipl. Kurt Tank — che provò la macchina nelle diverse condizioni, per esempio volando con un motore fermo, abbandonando i comandi e misurando a cronometro le oscillazioni di autostabilità attorno ai tre assi, e così via. Collaudi di questo livello non furono mai effettuati dai piloti argentini, malgrado i ripetuti solleciti fatti dal progettista. Il rapporto del professor Matties, autorità indiscutibile in materia e che certamente non era sospettabile di parzialità, fu completamente soddisfacente, limitandosi a denunciare gli inconvenienti di cui si è detto in precedenza.
In conclusione, il « Namcu » — nel quale Pallavicino aveva ripreso alcune soluzioni costruttive già adottate sul Ca.331, come la fusoliera a guscio a sezione triangolare (cosiddetta « a pera »), e con cui concluse la sua interessante carriera dì progettista aeronautico — fu una macchina eccellente a cui mancò soltanto un minimo di messa a punto. Ciò appare confermato da molteplici fatti incontestabili, quali la propaganda effettuata a suo tempo dalla stampa a favore del velivolo, il desiderio delle alte autorità argentine di esibirlo in Europa e, infine, la straordinaria distinzione con la quale il Presidente argentino onorò il progettista unitamente alle sue pubbliche affermazioni secondo le quali l'apparecchio faceva onore tanto alla Repubblica Argentina quanto ai tecnici italiani. E giacché accenniamo a questi ultimi, è doveroso ricordare che nella realizzazione del « Namcu » I'ing. Pallavicino fu validamente coadiuvato dagli ingegneri Gaviraghi e Ferretti e dai tecnici Pietro Montano, Quarti (già disegnatore della Caproni a Taliedo e a Ponte San Pietro), Targhi, Bardi, Trabalza, Fossatti, Cerruti, Pastorino, Saldin e Baldano; alla costruzione del velivolo collaborarono inoltre anche una sessantina di operai specializzati italiani.
CARATTERISTICHE
motore: Rolls-Royce « Merlin » 134 e 135
potenza: cv. 2.058
apertura alare: m. 15,00
lunghezza: m. 11,52
altezza: m. 5,16
superficie alare: mq. 33,80
peso a vuoto: kg 5.585
peso a carico massimo: kg. 8.755
velocità massima: km/h 740 a 6.000 m.
velocità minima: km/h 155
tempo di salita: 6’40’’ a 6.000
tangenza massima: m. 12.200
autonomia: km. 3.950
armamento previsto: 6 cannoni Hispano Suiza 804 da 20 mm., una bomba da 250
progettista: Cesare Pallavicino
pilota collaudatore: G. E. Osvaldo Weiss
primo volo del prototipo: 18 luglio 1948
località: Córdoba (Argentina)
DESCRIZIONE TECNICA
Cellula monoplana ad ala semibassa a sbalzo con struttura bilongherone interamente metallica, longheroni in un sol pezzo lungo tutta l'apertura. Ipersostentatori ad alta portanza del tipo a spacco azionati da un martinetto idraulico situato nel longherone posteriore all'interno della fusoliera. Comando degli alettoni di tipo classico, barra di comando e trasmissioni rigide.
Fusoliera a struttura interamente metallica con sezione maestra «a pera ». Costruzione a semi-monoguscio in due sezioni con giuntura in linea coi longherone alare posteriore. Ordinate e correnti costituiti da profilati con sezione ad « omega ». Sezione anteriore e posteriore costruite separatamente. Profilo longitudinale molto affusolato.
Impennaggi a struttura interamente metallica. Piano orizzontale bilongherone in due sezioni montate a mezza altezza sulla deriva. Deriva bilongherone costruita integrale con la fusoliera posteriore. Timoni di direzione e di profondità interamente metallici, dotati di alette di compensazione (flettner) sia comandabili che automatiche.
Gruppo motopropulsore su castelli motore in tubi d'acciaio montati sul longherone anteriore dell'ala e sulla struttura piramidale fissa del carrello. Radiatori del liquido refrigerante sul bordo d'entrata delle ali tra 1a fusoliera e le gondole motori. Eliche quadripale De Havilland tipo «4/4000/5» a velocità costante a comando idromatico e dispositivo di messa in bandiera, diametro 3,66 m.
Carrello triciclo posteriore retrattile. Forcelle delle ruote anteriori munite di ammortizzatori oleopneumatici ad alta pressione, con spostamento in avanti durante l'ammortizzamento; struttura in lega di alluminio. Retrazione delle ruote principali accompagnata da contemporanea rotazione delle stesse di un angolo di 90° in modo da andare a disporsi di piatto nelle code delle gondole motori. Portelli delle ruote disposti in modo da chiudersi quando gli elementi del carrello principale sono in posizione sia sollevata che abbassata. Impianto di frenante pneumatico modello Dunlop. Ruotino di coda completamente retrattile con pneumatico Dunlop del diametro di 0,43 m.
Abitacolo del pilota sopra il bordo d'entrata alare, chiuso da calotta trasparente monopezzo scorrevole.
Dotazione completa di strumenti per il volo notturno, navigazione aerea e supplementari per le prove di volo del prototipo. Impianto elettrico a 24 volt con generatore a 1.450 watt installato nella gondola motore sinistra e collegato in parallelo con 2 batterie da 12 volt - 40 ampère ciascuna. Apparato radio trasmittente e ricevente Bendix e impianto di radiogoniometro.
Carburante disposto in 10 serbatoi per complessivi 2.980 l, così disposti: due in fusoliera, dietro il posto di pilotaggio: 1 da 696 l. e 1 da 702 l., per complessivi 1.398 l. Otto alari, dalle radici verso le estremità: 2 da 425 l, 2 da 179 l, 2 da 127 l, 2 da 60 l, per complessivi 1.582 l.
Capacità massima di carburante: 3.592 l. Capacità lubrificante: 200 l.
Armamento previsto di 6 cannoni Hispano Suiza 804 da 20 mm. nella parte inferiore del muso, attacco ventrale per bomba da 250 kg.
Possibile istallazione di propulsori a reazione